sabato 16 aprile 2011

RICCO': LE STRAORDINARIE AVVENTURE DEL PICCOLO CHIMICO DI FORMIGINE

«Mi sento ancora un ciclista e voglio tornare a correre». Firmato Riccardo Riccò
Non sono dichiarazioni sconvolgenti, ovviamente a patto di isolarle dal contesto.
Brevemente: Riccò il 6 febbraio scorso era stato ricoverato in ospedale a causa di un blocco renale e poco ci mancava che stendesse le zampe. All'inizio non si riusciva a capire il perché del malore, salvo poi venire a sapere, tramite dichiarazione del medico che lo aveva soccorso, che il ciclista emiliano avrebbe confessato a questi di essersi fatto un'autoemotrasfusione. Il sangue in questione sarebbe risultato avariato, dal momento che era stato tenuto in frigorifero una ventina di giorni.  Mentre il malcapitato Riccò si trova in coma, si susseguono polemiche e accuse, che, nella sua sfortuna, ha avuto la fortuna di evitare in parte.
Ma vediamo brevemente di scoprire chi è Riccardo Riccò. 
Nasce a Formigine il primo settembre del 1983. Fin da giovanissimo si impone fra i dilettanti e, nel 2001, diventa campione italiano juniores di ciclocross. Arriva così la convocazione in nazionale per il mondiale imminente, salvo essere fermato per ematocrito alto. Nel 2004 è campione italiano in linea under 23 e l'anno successivo arrivano due vittorie di tappa e classifica generale alla Settimana Lombarda, oltre ad una tappa al Giro di Toscana. Viene nuovamente sospeso per 45 giorni per ematocrito alto. Passa ai pro con la Saunier-Duval Prodir ed ottiene dall' UCI il rilascio dell'attestato che dichiara la naturalità dei suoi valori di ematocrito pari al 51%
Siamo nel 2007 e Riccò diventa un volto noto. 
Al Giro d'Italia si impone nella tappa delle Tre Cime di Lavaredo e conclude la corsa al settimo posto generale (a 7 minuti da Danilo Di Luca, che vincerà quell'edizione). Ciò che più lo rende celebre, anzi celeberrimo, non sono solo i suoi risultati: Riccò è un personaggio mediatico, dà spettacolo in bici e davanti ai microfoni: innesca polemiche a catena con tutti i suoi avversari, ha sempre la battuta pronta e non manca di spavalderia. 
Colpisce anche lo stile del Cobra, soprannominato così perché prima di attaccare un avversario lo guarda dritto negli occhi per vedere se è in difficoltà.; Riccò attacca, scatta, e, come a Lavaredo, fugge, lontano ed imprendibile: roba da altri tempi si direbbe. Non gli mancano le ambizioni né il talento, a molti ricorda Marco Pantani, sia per l'abilità in salita, sia per il carattere da guascone. 
Nel 2008 arriva la consacrazione. Ed il tracollo.
Al Giro ottiene il secondo posto, dopo aver dominato le tappe montane e aver dato spettacolo. Spettacolo che, manco a dirlo, è proseguito davanti alle telecamere, grazie alle polemiche causate dalle sue accuse a Contador e Sella. Il Cobra decide di partecipare anche al Tour De France, dichiaratamente per vincere qualche tappa. 
Si impone a Aigurande Super-Besse ed a Toulouse Bagnères De Bigorre, rispettivamente sesta e nona. E già alcuni gridano al fenomeno e c'è chi è convinto che il Tour diverrà per lui non un piacevole passatempo, ma un obbiettivo realistico. Altri però gettano l'ombra del sospetto, non ci credono, non può andare così forte. Si deve dopare per forza. Ed hanno ragione. 
Il 17 luglio Riccò viene prelevato dalla sua roulotte e portato via dalla gendarmeria francese, poco prima dell'inizio della dodicesima tappa. Viene trovato positivo alla CERA, l'epo di terza generazione. Sono 2 anni di squalifica. Il mondo del ciclismo è scosso dal caso Riccò, o meglio, fa finta di esserlo. Già perché se Riccardo era soprannominato il Piccolo Chimico e il suo cognome veniva storpiato in Cariccò fra i dilettanti un motivo ci doveva pur essere. 
Inoltre la moglie di Riccò è tale Vania Rossi, ciclista coinvolta anch'essa nello scandalo doping per uso di CERA e il cui fratello, Enrico Rossi, è stato, in passato, arrestato per spaccio di sostanze dopanti: come dire, un'azienda a conduzione familiare. Così come non è proprio un caso che sia stato fermato ripetutamente per valori anomali nel sangue. 
La verità è che nell'ambiente del ciclismo tutti sanno, ripeto tutti. 
C'è molta ipocrisia, anche se non ci sembrano possibili due cose in particolare: 1) che certa gente abbia una faccia da schiaffi tale da non avere rimorso di coscienza, né vergogna nel mentire e favorire così un cancro dilagante e inarrestabile; 2) che gli atleti stessi e i loro familiari non si preoccupino delle conseguenze dannose che causa il doping al proprio fisico. 
La risposta, così come scrissi recentemente riguardo al doping nel calcio (Link a "Il calcio Marcio: Nel fango del dio pallone"), è sotto i nostri occhi, salvo non accettarla. Il mondo del ciclismo è un ambiente malato, fatto in gran parte di squadre e team manager spietati che, se pur molto spesso, non direttamente obbligano i ciclisti a usare sostanze dopanti, pretendono prestazioni elevate, in un ambiente in cui la maggior parte dei corridori si dopa. Risultato: gli onesti sopravvivono qualche anno fra i dilettanti, dopodiché sono costretti o ad andarsene o ad adeguarsi alla "cura". Per stare al passo dei dopati bisogna doparsi. Difficile che fra i grandi ci sia qualche pulito. 
E le famiglie degli atleti? Se sono tutte come quella di Riccò è facile dedurre che non si facciano tanti scrupoli, accecate dalla sete di gloria e successo che desiderano per i propri figli, parenti, fratelli, nipoti, ecc. Dal canto loro i ciclisti vivono la loro carriera in una terribile condizione psico-fisica, fino al momento del ritiro, dopodiché passano all'interno di studi televisivi a testimoniare oscene falsità. 
E' un mondo fatto di omertà il ciclismo, in cui chi parla è un infame, che viene isolato e minacciato dal gruppo dei colleghi. Riccò è solo figlio di questo tipo di mentalità. Forse ha ragione lui, meriterebbe di correre, lui è nella norma, un dopato fra i dopati, solo più arrogante e indiscreto. E probabilmente questo lo ha condannato. Troppo rumoroso.
«Non ricordo nulla del mio ricovero, ero più morto che vivo. Mi hanno solo detto che si trattava di un virus, il medico risponderà di quanto ha detto»; se l'articolo è stato sufficientemente chiaro ed esauriente, anche chi, fin'ora, non avesse conosciuto il personaggio, non si dovrebbe stupire di queste dichiarazioni. 
Non so se Riccò tornerà a correre, difficile che le grandi squadre rischino la propria immagine pubblica con elementi come lui. Spero per lui di no, per la sua incolumità e per quel briciolo di dignità che gli rimane, anche se ce la sta mettendo tutta per perderla completamente.
Ritirati Cobra, sparisci per sempre, lontano dagli occhi degli appassionati di ciclismo, quello vero. Non devi illudere chi è sempre e comunque pronto a perdonarti. Eri una grande promessa, hai avuto molte occasioni, le hai sprecate tutte. 
Dedicati alla tua famiglia, sii uomo.
A noi rimarrà l'amaro in bocca per aver visto spegnersi la stella di un ragazzo destinato a grandi cose.

Bob Harris

Nessun commento:

Posta un commento