lunedì 29 agosto 2011

LA MORTE E LA FANCIULLA: IL DRAMMA DEI DESAPARECIDOS (PARTE I)


Fra le varie recensioni cinematografiche che pubblichiamo sul blog, capita talvolta di scriverne alcune con lo scopo di andare oltre la mera valutazione tecnico-artistica dell'opera, per scavare più a fondo nel suo significato storico e sociale. 
Il film di cui parlerò oggi è "La Morte e La Fanciulla" opera del 1994 di Roman Polanski.
La trama è semplice: una donna, Paulina Escobar, interpretata da Sigourney Weaver, aspetta il marito nella sua casa di campagna in Cile. Questi vi arriva accompagnato da un distinto signore.
Il marito, Gerardo, è in lizza per divenire nuovo Ministro della Giustizia sotto il nuovo regime presidenziale ed è un avvocato a capo dell'inchiesta sui crimini del regime precedente.
Paulina però sembra come impazzire di fronte alla figura dello sconosciuto interpretato da Ben Kinglsey. Ella è convinta che tale uomo, il medico Miranda, di cui ricorda perfettamente la voce, l'odore e l'abitudine di ascoltare l'opera di Schubert "La Morte e la fanciulla", sia responsabile delle torture da lei subite anni addietro, durante il periodo della Guerra Sporca. Approfitta di un momento di dialogo fra i due uomini per rubare e catapultare giù da una scogliera l'auto di Miranda. Una volta addormentati i due, lega il dottore: se lui non confesserà il suo crimine Paulina lo ucciderà. Avrà ragione lei? Oppure nel suo delirio si sta accanendo con un pover'uomo che sembra avere un aria confortante e che nega fermamente ogni crimine attribuitogli. 
Partendo da questa premessa si sviluppa un film interamente girato all'interno della casa della coppia. Bravissimi gli attori: Kinglsey è un maestro dell'ambiguità e il merito della riuscita dell'opera è sua. La tensione, infatti, è tutta incentrata sul cercare di capire se le accuse siano vere o false e Polanski è bravissimo nel mantenerla alta nell'angusto spazio narrativo.
La Weaver è perfetta nella parte di una donna forte e fragile allo stesso tempo, alle prese con lo spettro di un passato terribile da cui non si riprenderà mai completamente. Ottima nell'esprimere tale stato e, ancora di più, è abile nel creare il pathos della rievocazione di quei momenti. 
Quello che ci lascia un film del genere è uno spunto di riflessione necessario. Un interesse per ciò che è stato, da integrare con altre opere in grado di aiutare a capire ancora una volta come andarono i fatti e quali malvagità possa perpetrare l'animo umano. Basti pensare a "Garage Olimpo"[LINK] di Marco Bechis o a "La notte delle matite spezzate"[LINK] di Hector Olivera.
Tornando per un momento all'opera di Polanski la riflessione che mi spinge a fare è la seguente: a compiere i crimini peggiori spesso sono persone che tutti noi considereremmo buone, tranquille ed innocue, alle quali vizi o inclinazioni però portano in situazioni estreme, a compiere azioni turpi.
Tutto ciò fa venire i brividi.
Come nacquero le vicende dei Desaparecidos, delle Madri della Plaza De Mayo e della Guerra Sporca bisogna risalire alla cosiddetta Operazione Condor. Tale operazione, progettata e sostenuta dal governo USA, mirava a distruggere e destabilizzare le correnti socialiste e comuniste sudamericane.
Per attuare ciò vennero finanziate Squadre della Morte che avevano il compito di rapire torturare e infine uccidere gli oppositori politici, spesso semplici dissidenti, perfino adolescenti.
Come è stato a suo tempo descritto con minuzia negli Archivi del Terrore andava di moda rapire e portare in luoghi sotterranei i malcapitati, per poi sottoporli a sevizie di ogni tipo; si passava dalle minacce allo stupro, sino all'uso di scariche elettriche.
Se già questo può sembrare spaventoso, va aggiunto che quasi mai i prigionieri venivano rilasciati: dopo essere stati sedati, venivano caricati su aerei e gettati più o meno incoscienti in mare: erano i cosiddetti Voli della morte.
Ma non è ancora finita: gli aguzzini erano anche degli sciacalli insaziabili, che depredavano le case dei Desaparecidos e ottenevano diritti su ipoteche in modo coattivo dai parenti.
A tanto si spinge la cattiveria umana?

Habemus Judicium:


Bob Harris

domenica 21 agosto 2011

ETICHETTE E LUOGHI COMUNI: RIFLESSIONE SULLA NOSTRA SOCIETA'

Quante volte vi capita di fermarvi a pensare su quello che dice la gente? Su quello che scrive od in sostanza che comunica? Beh, se non vi siete mai soffermati ad eseguire questo simpatico esperimento sociologico, vi consiglio di farlo al più presto! Perchè mai vi chiedete? Ovvio: perchè è uno spasso! Cerco di spiegarmi meglio. Se vi fermaste ad analizzare con dovizia ciò che si aggira nel “communicational board”, vi accorgereste di quante grottesche espressioni del pensato, travestite da opinioni, vi circolino! E quello a cui mi riferisco è la banalità con la quale la gente sentenzia giudizi, esprime pareri e perorare convinzioni, senza aver cercato di imprimere il minimo senso di ragionamento logico al loro farfugliare cervellotico! Inteso? Sì scusate, forse adesso sono proprio io che farfuglio, ma cercherò di farmi capire. Il mondo offre un'infinita varietà di oggetti, nel senso ampio del termine, da sottoporre alla nostra attenzione, che tramite la coscienza “soggettiviziamo” e rendiamo scibile per noi e per gli altri (beh più o meno insomma...). Ora, facciamo questo per comprendere come interagire al meglio con tutto ciò che ci gira attorno e sul quale giriamo. Una necessità biologica inderogabile per la sopravvivenza, che nelle sue implicazioni più varie, arriva ad incontrare stadi del pensiero non prettamente materialistici ma diciamo, concedendoci un'ampia licenza poetica, “filosofico-speculativi”. Tutti in sostanza anche quelli che alla cultura si dichiarano ostili, hanno a che fare con definizioni e categorizzazioni del pensiero, la cui natura intrinseca è proprio quella filosofica: volente o nolente chiunque tratta di filosofia! Bene, tutti voi sapete cosa succederebbe se un totale ignorante in materia provasse a cimentarsi con la soluzione del Teorema matematico di Fermat, cercando di addurre spiegazioni basate su impressioni prettamente irragionevoli malamente esposte. Verrebbe allontanato con garbo dall'Università di Oxford o, con meno garbo, da quella di Yale e naturalmente le sue opinioni non sarebbero prese per nulla in considerazione. Beh, pensate ora invece cosa succede nella realtà quotidiana quando qualcuno maggiormente avvezzo al ragionamento logico, fa cozzare le proprie opinioni con quelle di una folla di benpensanti poco pensanti che si autodefinisce spesso e volentieri “indignata”. Viene additato come un cervellotico e dissoluto stramboide, che blatera di cose astruse adottando termini sofisticati senza alcun senso. Tutto questo al solo scopo di smontare le solide convinzioni altrui, che, se sono resistite così a lungo negli anni, beh qualche motivo ci sarà, no? I ruoli tra ragionevole e non finiscono così per ribaltarsi: gli idioti hanno diritto di aver ragione! Singolare come cosa, ma a suo modo inquietante. Perché mai su alcuni problemi di natura esistenziale, sociale o gnoseologica, dovrebbe prevalere la risposta più banale invece di quella più intelligente, al contrario di ciò che succede, logicamente, nelle scienze pure e applicate legate alla matematica? Si potrebbe rispondere dicendo che le parole a differenza dei numeri, lasciano spazio all'interpretazione così da divenire assai più difficile, se non impossibile, distinguere ciò che è corretto da ciò che è sbagliato. Osservazione giusta e calzante, ma credo che sia più interessante soffermarsi su un altro punto. Il discorso è che la gente non bada al valore reale delle opinioni espresse, ma troppo spesso esse divengono solo degli slogans atti a pubblicizzare la propria appartenenza ad un certo gruppo sociale, ad un certo “pensiero di massa” che li fa sentire più forti e meno soli, soprattutto se sostenuto dalla maggioranza, e nasconde così le originali paure e mediocrità del loro essere individuale, che cerca disperatamente solo di non essere escluso dalla comunità. Mi dispiace deludervi ragazzi ma non si pensa vigliaccamente “per sentito dire”. L'espressione del libero pensiero è un atto di coraggio, un'anapologetica dimostrazione d'originalità, non una ridicola frase sputata fuori dal bel mezzo di una folla sbraitante! Quindi quando sento persone che esprimono idee formate con lo stampino (pure bruttino tra l'altro), che si accaniscono gli uni contro gli altri come ultras di squadre avverse, si etichettano con termini obbrobriosi e derubricano a cretino chi non si esprime come loro, senza sapere veramente perché lo facciano. Beh allora in quei casi sì, mi viene da sorridere, amaramente però, con lo stesso beffardo ghigno che ha chi osserva un elegantone capitombolare in una pozzanghera fangosa, sapendo bene però che quel tizio incravattato altro non è che la nostra società, apparentemente impeccabile nell'aspetto, ma ancora incapace di camminare.

AdamantineEgo

martedì 9 agosto 2011

TAMARREIDE???



Devo confessarvi una cosa: era mia ferma intenzione fare un post a Tamarreide
Le buone intenzioni si sono però scontrate con due evidenti problemi: 1) avendo perso le puntate in diretta ho dovuto recuperarle in rete, con il risultato di avere difficoltà a visionare la serie completa. 2) No, davvero, non ce la faccio proprio a vederlo. 
Vorrei premettere una cosa: mi aspettavo di vedere un format in cui qualche poveraccio mentalmente poco dotato veniva sfruttato da autori spietati e ridicolizzato fino all'indicibile
Non fraintendetemi, tale risultato credo sia stato ampiamente raggiunto, a giudicare dal poco che ho visto. E tuttavia ciò che mi sono trovato davanti assomiglia terribilmente a un incrocio fra Uomini e Donne, con tanto di esterne e questioni tamarro-amorose, e Lucignolo, il noto programma modaiolo di Italia 1, quello col DJ ruffiano che si crede sexy. 
Ma in fondo l'obiettivo dei lascivi e perversi autori delle reti Mediaset era come al solito quello di sollevare un colossale polverone.
Tutto come da copione. 
Non ci resta che piangere il sacrificio di un manipoli di disadattati alla ricerca di un barlume di popolarità che già puzza di putrefazione, in realtà agnelli sacrificali sull'altare del kitsch. Li ricorderemo per momenti indimenticabili come il ballo dei tamarri eseguito dal gruppo milanese, variante di qualsivoglia forma di tarantella paesana; come non ricordare poi cena mista delle tamarre alle prese con esponenti della nobiltà da discount, con tanto di eVVe moscia spontanea come un parto cesareo. 
Resta da riflettere sul fatto che il concept è ormai datato, essendo le caratterizzazioni dei soggetti un fac-simile dei sopracitati  Uomini e Donne, GF e compagnia bella; d'altronde quanti di voi non hanno avuto un déjà-vu nel vedere maschioni in abiti scollati esprimersi in un idioma sconosciuto, o nell'assistere alle gesta delle oltremodo socievoli signorine, a loro agio nelle vesti di pisellofore benefattrici? 
Mo vi rispondo io: le veline lo sono di più e i tronisti pure.
Da apprezzare il momento culturale in cui le diverse razze di tamarri si incontrano e si annusano il sedere a vicenda con fare minaccioso e allo stesso tempo curioso, permettendoci di coglierne le differenze, anche se sottili.
Un ultima nota di merito va a Fiammetta Cicova...ehm...Cicogna. La biondina dai denti radi e aguzzi, ma soprattutto dalla erre moscia (lei si che ce l'ha davvero...), che introduce i nostri eroi con il solito fare supponente e ammiccante. 
Lancio un appello: dato che i membri della Band della Tim sono degli emeriti incapaci, perbenisti e naif, e dato che Bear Grylls sembra preferire la compagnia di altri esseri viventi (....), mi auguro che almeno il plotone di tamarri maschi se la venga a prendere di forza e le faccia provare il piacere di una sana ammucchiata.

Bob Harris