giovedì 25 ottobre 2018

SPECIALE R&R (PARTE IV): "L'ULTIMA CASA A SINISTRA" (1972) di WES CRAVEN

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«Dovrete continuare a ripetervi: è solo un film... è solo un film» 
-Tagline del Film-

Troppo duro e crudo per resistere alla censura.
Nel Regno Unito la British Board Of Film Classification si rifiutò di riconoscere il certificato necessario per la proiezione nelle sale. Ed anche altrove non andò meglio. I censori si ritrovarono dinnanzi ad un un put pourri di violenza e scene sadiche sulle quali la macchina indugiava in modo inaccettabile. Da allora, nelle leggende popolari, aleggia l'idea che esista una versione integrale di questo film, sopravvissuta ai tagli artistici e fisici. Intendiamoci cari lettori, "L'ultima casa a sinistra" non è niente che nel 2018 non possa essere assorbito e digerito; perciò amanti del torture porn potrete rimanere un tantino delusi.
Ma facciamo un piccolo passo indietro.
Wes Craven è un giovane insegnante di filosofia alla John Hopkins University, un fortunello che fa ciò per cui ha studiato all'università. Ma quello accademico non è il suo mondo, il suo sogno è lavorare nel cinema. Lo possiamo immaginare, pieno di dubbi ed eccitato allo stesso tempo, lasciare il posto fisso per fare il più classico dei salti nel buio.
Il primo lavoro?
Il tuttofare per una casa produttrice di cinema erotico/porno, un lavoro di bassa manovalanza che gli permette però di apprendere i primi rudimenti di regia e montaggio. Giungono così i primi lavori dietro la camera da presa: pubblicità e naturalmente i filmetti pruriginosi.
Poi l'Epifania. Craven va in una piccola sala cinematografica a vedere un mediometraggio sulla guerra del Vietnam. E' un susseguirsi di immagini raccapriccianti che costringono a distogliere lo sguardo. Esce da quel cinema sconvolto, poi, una volta raccolte le sue emozioni, decide di incanalare quegli orrori in un film: nasce così "L'ultima casa a sinistra", tetra allegoria della fine dei movimenti pacifisti nonché atto di accusa/provocazione verso tutto quel pubblico cinematografico assetato di violenza.
Il modello è il Bergman de "La Fontana della Vergine"[LINK]: prende la sua trama, la proietta nella società contemporanea e lo libera di tutto ciò che di aulico c'è al suo interno. Ne "L'ultima casa a sinistra" non c'è alcuna redenzione, non c'è nessun Dio a cui affidarsi, rimane solamente un lerciume che contamina tutto e tutti, lasciando lo spettatore alla mercé di una sadica violenza. Agli inizi degli anni '70 ciò significa uno shock, tanto visivo quanto concettuale, anche per gli stomaci più forti e le menti più aperte.
Ma di cosa parla questa Ultima casa?
Mary, fresca 17enne, lascia i genitori, intenti nei preparativi per la sua festa di compleanno, e si reca in città assieme ad una sua amica, Phyllis, per assistere ad uno spettacolo. Le due giovani sono in cerca di un pizzico di divertimento in più e, nel tentativo di rimediare della marijuana, conoscono Junior, un giovane eroinomane che le porta nella sua casa; il ragazzo le promette che lì ha della roba buona da darle, un'erba appena giunta dalla Colombia. Quella di Junior è però una trappola ed ad attenderle nella casa c'è Krug, un criminale da poco evaso di prigione, che si nasconde lì con tutta la sua banda.  Il destino delle due è oramai segnato: vengono imprigionate, violentate ed uccise. Prima di fuggire, Krug e gli altri decidono di chiedere ospitalità per la notte, ma la porta a cui bussano è quella della casa di Mary.
Ancora oggi "L'ultima casa a sinistra" viene considerato uno dei film più controversi di sempre, ciò nonostante sia stato seguito da film più impattanti visivamente, pensiamo al "Cannibal Holocaust" di Deodato, o concettualmente come il "Non Violentate Jennifer" di Zarchi". 
Rivedendola oggi, l'opera di Craven ci appare datata, buffa (più o meno volutamente) in alcuni passaggi, piena di stereotipi ed espressione di una regia ancora grezza.
Ingenuo, pieno di errori e pretestuoso, eppure pioneristico, è "L'ultima casa a sinistra" che inaugurerà il filone Rape and Revenge, declinando una violenza che sfugge da possibili ricostruzioni psicologiche, un sadismo che è rappresentazione di quella totale e disumana forza primordiale di sopraffazione insita nell'uomo. C'è di più, Craven smonta e ricompone il genere ed attualizza la violenza, non più una forza estranea che colpisce ma espressione diretta della società contemporanea; neanche l'istituzione base della borghesia americana, la famiglia, si salva: è così morigerata, così ipocrita, così grottescamente assetata di sangue.
Craven pagò a caro prezzo il suo esordio e, come accaduto a Peckinpah, sarebbe divenuto un indesiderabile, uno a cui non dare manco uno spiccio per comprarsi un caffè. Con lo pseudonimo di Abe Snake si prodigherà nuovamente nel mondo del cinema erotico, girando nel 1975 "La cugina del prete", poi, solamente nel 1977, si troverà dietro la macchina da presa per "Le colline hanno gli occhi"; questa però è tutta un'altra storia.
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Il Remake: "L'ultima Casa a Sinistra" (2009) di Dennis Iliadis
"L'ultima casa a sinistra" apre ufficialmente il ciclo dei remake legati alla tematica del rape and revenge. Uscito nel 2009 e diretto da tale Dennis Iliadis il film ha il coraggio, da riconoscergli, di confrontarsi con il cult di Wes Craven. Dal confronto questo remake ne esce chiaramente con le ossa rotte e, se rapportato all'originale, risulta essere un film a dir poco vomitevole. Ovviamente scherzavo sulla faccenda del coraggio, fu semplice brama di pecunia.
10 anni or sono era scoppiata già da un po' la mania di rifare film famosi anche a distanza di pochi anni dalla loro uscita; il tutto era dovuto a una mancanza palese di idee e di intraprendenza nell'ambiente hollywoodiano, cosa che spinse a cimentarsi in operazioni sicure, tra le quali appunto il vernissage di classiconi. Curiosamente, gran parte di questi rifacimenti, a scopo meramente commerciale, prendeva di mira opere frutto della corrente della Nuova Hollywood: come dire, un po' come il Che che lottò contro il capitalismo americano per poi finire stampato su milioni di t-shirt.
L'analisi sarà divisa in due parti: la prima sarà un confronto tra originale e remake, la seconda valuterà il film in sé.
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Parte 1: Nella sua pretestuosità, "L'ultima casa a sinistra" di Craven era sporco, brutto e cattivo, un coacervo di cattivi ma cattivi per davvero, dei sadici nichilisti di gran compagnia. Ed, invece, il rifacimento firmato da Iliadis è bello bigotto.
In primis, il personaggio di Phyllis  (che nel remake prende il nome di Paige) è reso volutamente più trasgressivo: come dire, in fondo se lo meritava quel trattamento... Aveva solo da non pensare al pene di Justin e agli spinelli!
Mary è pura e casta anche qui, ma la novità è che nuota da dio (anche da morta).
I cattivoni...beh, non sono così cattivoni.
Junior (qui trasformatosi in Justin) è un bonaccione emo, non più tossico, ma semplice fattone (ammesso che in America sia percepita la differenza). Il personaggio di Sadie è semplicemente inutile e fastidioso, il Faina (qui Francis) sadicheggia in modo piuttosto commuovente, ma, alla fine, per due moine e una puncicata sulla schiena di Paige, paga con una fine truculenta.
Ma il meglio dello script è riservato a Krug: ebbene sì, da perverso leader, maniaco e burlone, in questo remake diventa il buon padre di famiglia. Talmente hanno voluto fare un film perbenista che pure i cattivoni sono equipaggiati di buone ragioni: le due ragazze vengono rapite e sono destinate alla morte, MA solo perché erano nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Prima differenza: ragazze non adescate nel motel da Justin, ma semplicemente sfigate perché mamma, papà e lo zio sono tornati prima. Paige viene uccisa a coltellate, niente stupro (differenza non da poco), ma solo per necessità di evitare la sua fuga e per punizione. Mari viene stuprata e sparata (mentre fugge nuotando in un lago), ma la scena dello stupro ha nulla dell'effetto disturbante dell'originale: Krug sfoga su di lei la frustrazione di essere stato sminuito nella sua virilità da Paige e la tensione per i molteplici atti di ribellione violenta degli ostaggi.
Tutto, per quanto orribile, sembra, in qualche modo, psicologicamente ricostruibile. Perciò, se i cattivi non sono rappresentati come dei sadici e se la violenza non è figlia dell'istinto di sopraffazione e dominazione insito nell'uomo, cosa differenzia questo film da un qualsiasi thriller? Tutto ciò su cui si basano i R&R viene qui completamente svuotato di significato.
E la scena della famigerata casa a sinistra?
Dura un fottio.
Dura quanto il film di Craven praticamente! 
I manigoldi arrivano, sono educati e manco vogliono trattenersi perché Krug non vuole disturbare (diligenza del buon padre di famiglia). Poi delle sorti della figlia i genitori capiscono dalla collana...Ok.. E...E... Dalla figlia!!
Già, perché Mari non è morta pistolettata in acqua.
Sembrava eh! Invece no, in realtà si è fatta una bella nuotata fino a casa ed è ancora viva. Pensa che brava che è stata la sua emorragia. Fanculo all'originale, non può essere così turpe questo remake, sia fatta vivere Mari.
La scena tra la madre di Mari e Francis a questo punto mi ha creato un po' di pensieri: sarà o no messa in scena come nell'originale? Con l'aria puritana che tirava ho subito pensato che, no, l'avrebbero stuccata. E difatti si assiste a minuti interminabili di dialogo trash in cui Aaron Paul si atteggia a seduttore psyco e la botulata di Monica Potter tergiversa alla ricerca del vino. Niente blowjob a denti stretti ed epifania sanguinolenta, ma, siccome in America il sesso vade retro ma la violenza yes we can, il povero Francis viene accoltellato, tritato, affogato e picconato (in quest'ordine).
Poi Sadie e Krug muoiono male, la figlia e Justin si salvano e tutti e 4 adesso potranno vivere come una famiglia felice. Ah, e il signor Collinwood, da bravo chirurgo, si avventura non in uno, ma in ben due interventi chirurgici domestici.
Fiuuuuu.
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Parte 2: "The last house on the left" è girato da un buon mestierante dal momento in cui le scene action non sfigurano affatto nella loro realizzazione. La parte tecnica è qualitativamente sufficiente (montaggio, fotografia, sonoro e prove attoriali) e forse anche qualcosa in più. Un film che ha diversi momenti di buona suspense che, specie nella concitazione finale, tengono col fiato sospeso; per quanto riguarda la scena controversa, quella dello stupro, essa è girata davvero in modo sapiente: lungi dal mostrare, la sequenza risulta comunque ad effetto ed è gestita con grande raffinatezza registica.
Un film anonimamente inserito nella rete dei thriller televisivi si direbbe, SE NON FOSSE CHE trasmette un messaggio a dir poco inquietante. Ho accennato al punto sopra il fatto che, per come rappresentati, i cattivi sono razionalmente giustificabili per il loro agire e che, quindi, non siamo di fronte ad una violenza compiaciuta e fine a sé stessa; a ciò si aggiunge che, per scelte di copione, la vendetta dei Collinwood si esplicita in maniera feroce ed efferata, in pratica in maniera SADICA. Perciò, questo insignificante rifacimento giunge al paradosso di invertire i ruoli: i cattivi non sono sadici, i buoni si.
Quando Francis e Krug vengono praticamente torturati lo spettatore non prova vero appagamento, ma, anzi, ha l'impressione che sia un qualcosa di assolutamente sproporzionato: questo perché la violenza che ha subito anch'egli, immedesimandosi nelle due ragazze, non è accompagnata da quella gratuità che accresce un senso di ingiustizia e disorientamento totale, cancellabili solo con una pena riparatrice.
Oltretutto, è bene ricordarlo, la vendetta omicida mira a riparare il torto non di un omicidio, ma di uno stupro e di un TENTATO omicidio. Ma, siccome i buoni sono i buoni, ciò è ampiamente giustificato. Si rammenti che Craven, di proposito, volle creare un contrasto netto tra l'iniziale, tranquilla e morigerata, quotidianità della famiglia media americana e la brutalità della sua conversione finale, il tutto alternato ad un clima scanzonato e dissacrante. Da autore vero che approfitta del genere, stava prendendo per i fondelli l'istituzione borghese per eccellenza.
Mi ci potrei scommettere gli zebedei, invece, che la produzione di questo riadattamento, non si è minimamente posta il problema (se non proprio resa conto) che lo spettatore parteggerà per dei sadici giustizieri. Perciò questo è il messaggio che, sopratutto, lo spettatore medio americano recepisce dal film? Che la giustizia privata non solo è giustificata, ma può anche essere sproporzionata e compiaciuta? Stando così le cose diventa ancora più difficile stupirsi degli episodi di cronaca nera d'oltreoceano. Questo remake farà rivoltare Craven nella tomba per un bel po' di decenni [Continua...]

Bob Ft. Ismail

2 commenti:

  1. Ti consiglio pure Il serpente e l'arcobaleno che per me è il migliore film di Craven per me. ;)

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    1. Questo mi manca (sicuramente il mio compagno di penna lo avrà visto), avevo letto qualcosa della trama e mi aveva incuriosito parecchio. A sto punto dovrò colpmare quanto prima la lacuna.

      Ismail

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