giovedì 27 aprile 2017

"SALO' O LE 120 GIORNATE DI SODOMA": L'ANARCHIA DEL POTERE

 «Non c'è niente di più contagioso del male»
-L' Eccellenza- 
    
"Salò o le 120 giornate di Sodoma" è l'ultima opera girata da Pier Paolo Pasolini prima di essere trucidato sul litorale romano, il film che avrebbe dovuto aprire la trilogia della morte.
Proiettato in anteprima al Festival di Parigi il 22 novembre del 1975, tre settimane dopo la sua morte, giunge in Italia solamente nel gennaio dell'anno successivo rimanendo in sala solo per pochi giorni. Il motivo? Si aprono 31 contenziosi giudiziari a carico della produzione che dovrà rispondere di numerose ipotesi di reato, tra le quali quelle di oscenitàcorruzione di minori. Come inevitabile corollario giunge il sequestro della pellicola che sarebbe tornata nei cinema solamente il 10 marzo del '77.
Le vicissitudini non finiscono qui.
L'11 marzo un gruppo di neofascisti romani, tra i quali il NAR Giusva Fioravanti, fanno irruzione e devastano il Rouge et Noir, cinema romano che ha in programmazione il film.
Segue un nuovo intoppo processuale. Il 6 giugno, un pretore di Grottaglie, con un provvedimento d'urgenza, pone sotto sequestro "Salò" che allontanerà il film dalle sale sino al 1985.
"Salò" ha ottenuto una lentissima riabilitazione e solo nel 2000, in ricordo del 25° anniversario della scomparsa di Pier Paolo Pasolini, viene trasmesso per la prima volta in Tv su un canale a pagamento di "Stream". Ad oggi resta ancora inedito sulla TV italiana in chiaro.
L'ultimo capolavoro di Pasolini fu una sfida lanciata alla censura ed alla morale italiana.

La discesa nell'inferno del Marchese de Sade
«Deboli creature incatenate, destinate al nostro piacere, spero non vi siate illuse di trovare qui la ridicola libertà concessa dal mondo esterno. Siete fuori dai confini della legalità. Nessuno sulla Terra sa che voi siete qui. Per tutto quanto riguarda il mondo, voi siete già morti» 
-Il Duca-

"Salò" è la trasposizione cinematografica de "Le 120 giornate di Sodoma", un romanzo libertino di fine '700 del Marchese de Sade, opera imperniata sulla descrizione delle perversioni sessuali, dell' empio e dell'assurdo, della prevaricazione di un uomo su un altro.
L'ambizioso e complicato progetto viene partorito dalla mente del regista romano Sergio Citti, il quale decide di avvalersi della collaborazione di Pasolini e Pupi Avati (quest'ultimo non inserito nei crediti del film per controversie con la produzione) per la stesura della sceneggiatura. I lavori preparatori sono lunghissimi, interi pomeriggi trascorsi attorno ad un tavolo in un appartamento in via dell' Eufrate a Roma, a rileggere i passi dell'opera ed a stendere le bozze per la sceneggiatura.
Il progetto, in questa primissima fase, sembra però naufragare; Citti perde le sue convinzioni iniziali, non crede di potercela fare. E' un progetto troppo complesso e controverso.
Trascorre un po' di tempo e Pasolini ci pensa su. E' una storia troppo potente, sia nelle immagini che nel significato, per essere abbandonata: "Le 120 Giornate" diventano cosa sua.
Nella sceneggiatura definitiva l'intellettuale bolognese apporta due importantissime modifiche al testo originale. Attualizza l'ambientazione ponendo la storia in un momento non precisato del 1944 nei territori della Repubblica di Salò. Prendendo ispirazione dall'impianto dantesco della "Divina Commedia", struttura la narrazione in percorso verticale attraverso cui mostrare la discesa nella perversione; divide così "Salò" in 4 gironi: l'Antiferno, il Girone delle manie, il Girone della merda e quello del sangue.
La storia è semplice e geometrica.
I protagonisti sono quattro uomini di potere: il Duca, il Vescovo, il Presidente della Corte d'Appello ed il Presidente della Banca Centrale; questi vogliono costruire piccola comunità in una villa di campagna lontana dagli occhi indiscreti, dove poter liberare le pulsioni sessuali più infime ed atroci.
Incaricano così alcuni soldati, appartenenti alle SS ed all'esercito della Repubblica Sociale, di stanare e rapire ragazzi/e di famiglie antifasciste residenti nella zona di Marzabotto(1). Tutti i giovani catturati devono essere portati dinnanzi alle quattro autorità per essere selezionate accuratamente.
Il Duca, il Vescovo, il Giudice ed il Presidente chiamano quattro megere, quattro anziane prostitute, che con i loro racconti nella sala delle orge devono guidare i signori ed i ragazzi catturati verso l'eccitazione sessuale. Ogni girone diventa un saggio sulla perversione, un nuovo insegnamento da apprendere e mettere in pratica.
La costruzione della nuova società è scientifica, niente è lasciato al caso.
I ripensamenti non sono più ammessi ed i signori si legano per sempre tra di loro: si scambiano le rispettive figlie e le prendono in moglie, trasformando le giovani in schiave.
Ideano un codice giuridico: i signori, per tutto il soggiorno, potranno disporre liberamente della vita e del corpo dei giovani catturati. Per i ragazzi non resta che dar loro la piena obbedienza. Non è permessa a loro alcuna implorazione di perdono, nessuna preghiera disperata da fare ad un qualche dio. La pena è un'atroce morte.
Pasolini ci porta in un inferno fatto di abusi sessuali, sesso e coprofagia, in cui il mondo libero non è più possibile.
***
Giunti a questo punto, cari lettori, vi proponiamo due nostri commenti al film, due visioni che avranno probabilmente dei punti in comune (e di questo ciascuno di noi se ne rammarica visto che ci stiamo abbastanza sulle palle a vicenda).

L'anarchia al potere (1°commento):
Un affresco dell' anarchia del potere. Questo è "Salò o le 120 Giornate di Sodoma".
Un pezzo di storia di Italia, la più buia ovviamente, anche se dipende sempre da che punto la si guardi, la faccenda. Ma coloro che gradiscono mirare la storia da una certa ottica, diciamo, nostalgica, coloro che invocano un passato glorioso e prosperoso, ed iconificano taluni personaggi, forse dovrebbero dare un occhiata a questo film. La mia frase è pleonastica, non mi aspetto certo che un idiota siffatto possa capire alcunché.
Ad ogni modo la parentesi oscura della Nostra Storia è dietro l'angolo e la forza nichilista del film di Pasolini non perde vigore neanche a distanza di decenni.
Possiamo cercare qualsiasi sottotesto, rimando, allegoria, citazione ecc., ne avremmo da sbizzarrirci; già solo un confronto filologico con De Sade è di primaria importanza.
Il film è strutturato in modo speculare al libro e le tematiche sessuali/estetiche/edonostiche riflettono chiaramente la visione del sommo marchese. Motivo per cui non manca una parte di puro divertissement (vi confesso che, rivendendolo a spezzoni a distanza di anni per stendere queste quattro righe, mi è balzato all'occhio proprio questo aspetto).
Che poi non è cosa così accessoria. Epurando per un momento il film dalla sua sacralità, lo si apprezza per la sua genuina ed entusiasta esposizione del campionario di perversioni tanto care a De Sade, da sempre e per sempre suo marchio di fabbrica.
Gli intermezzi coloriti di una navigata baldracca scandiscono i tempi del film: i suoi racconti incuriosiscono lo spettatore non meno di quanto incuriosiscano i quattro poteri.
Dicevamo delle tante chiavi di lettura a cui si presta l'opera. Fondamentalmente però ciò che, secondo me, si pone al centro dell'analisi è la potenza delle immagini.
Personaggi grotteschi (resi ancora più tali da attori non professionisti e poco espressivi) inseriti in una cornice formalmente maestosa: la messa in scena è totale eleganza e simmetria.
La nudità e la sessualità, ancora più che in un'opera, per citarne una, come "Non Violentate Jennifer (I Spit On Your Grave)" viene ridotta ad atto meccanico e inanimato, privato di qualsivoglia componente erotica, ridotto al banale e inespressivo.
Ciò che appare sullo schermo crea una discrasia tra l'immaginario sessuale comune e il rigoroso e freddo formalismo della sua rappresentazione: in una parola, straniante. Corpi mercificati e mandati al macello: allo spettatore non viene risparmiato alcuno scempio, sevizia, umiliazione.
Che il potere sia rappresentato da un governo fascista o una società di massa che impone uniformazione e annichilimento del pensiero e spersonalizzazione nei rapporti umani, non fa differenza. Siamo indifesi e in balia del più forte. Il potere è anarchico.

Habemus Judicium:


Bob Harris
                                                                                                                                 

L'allegoria di Pasolini (2° commento):
Un film violento, terrificante, spaventoso e rivoltante.
Prepararsi alla visione del film, sapere quello che ti attenderà non serve a nulla.
Una sequela di immagini che mai penseresti di trovare impressa su pellicola.
10 minuti finali, l'apice del "Girone del sangue", sono al limite del sopportabile.
Ma si rimane lì, a sbirciare da una finestra torture e soprusi, complici del loro voyeurismo.
"Salò" è tremendo e magnifico al contempo, un impatto visivo da cui non ci si può distaccare, calpesta la lucidità e conduce ad una presa di coscienza indesiderata.
Il film è una discesa nella malattia, un percorso rigoroso, formalistico e (quasi) del tutto privo di un'analisi psicologica dei personaggi.
"Salò" è ambientato nel 1944 nella RSI, ma come lo stesso Pasolini ci tenne a precisare poco prima della sua morte, lo si sarebbe potuto collocare in un qualsiasi momento della storia.
Il fascismo è solamente una tetra allegoria, un espediente narrativo con mostrare le devianze di ogni potere; quella di Pasolini è una lucida e drammatica analisi delle oscenità e dell'anarchia del potere (2), una furia che colpisce corpi inermi, imprime la sua forza sull'individuo, lo appiattisce (si veda della scena dei ragazzi/e al guinzaglio) e gli impone nuove necessità.
Ed il Pasolini di "Salò" è quello di "Petrolio" e del siamo tutti in pericolo. Non c'è speranza, il sesso (ed il corpo), espressione di una forza eversiva/vitale irriducibile dal potere, diviene oggetto di dominio e prevaricazione.
Quella di "Salò" fu un'accusa precisa e circostanziata. Pasolini era prima di tutto uno scrittore, le cose le intuiva, le osservava, le comprendeva. Sapeva ed era pronto ad accusare ancora.
Ma è stato abbandonato dalla società italiana su quella lurida spiaggia.
Il mondo "uccide imparzialmente i molto buoni e i molto gentili e i molto coraggiosi" e sarà sempre pronto a farlo.

Habemus Judicium:

Ismail
                                                                           
                                                                                                             



Note:
(1) La scelta di Marzabotto ha un valore altamente simbolico. Il paese fu uno dei più colpiti dall'eccidio di Monte Sole (conosciuto impropriamente come eccidio di Marzabotto), dove tra il 29 settembre ed il 5 ottobre del '44 vennero rastrellate ed uccise 770 persone dalle forze nazifasciste.
(2) Cfr. "La dialettica dell'illuminismo" di Adorno e Horkheimer, dove in uno dei saggi, dal titolo "Juliette, o illuminismo e morale", i due filosofi affrontano anche la figura del marchese de Sade. 
In quest' opera l'illuminismo, ossia il pensiero razionale moderno, viene descritto come l'imposizione di una forza (la volontà di potenza) manifestata ed esercitata da un elitè di potere. Il marchese de Sade rappresenterebbe secondo Adorno ed Holkheimer l'altra faccia dell'illuminismo (contrapposta a quella garantista e liberale di Kant) che avrebbe comportato la supremazia assoluta dell'individuo e del suo potere al punto da emanciparlo da obblighi morali e normativi; in altre parole l'esercizio del potere si delineerebbe come manifestazione di una quasi anarchia.

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