venerdì 7 settembre 2018

SPECIALE R&R (PARTE I): IL"REVENGE" 3.0

Dove è il bene?
Chi è il cattivo?
Negli anni '70 nasceva il rape and revenge, (forse) il sottogenere più ambiguo e discusso di sempre, che portò nelle sale americane quei bassifondi fatti di banditi e rednecks pronti a violare proprietà private, corpi e tabù.
Le sue trame semplici, quasi ridotte all'osso, hanno uno schema fisso: a) il rapimento di una ragazza da parte di un branco che la violenta; b) vendetta (della ragazza o di qualche suo caro nel caso in cui sia morta) contro gli stupratori. 
Roba da cinema d'exploitation, buona giusta per sollazzare i palati degli spettatori più truculenti. Forse, non solo.
Il R&R, in parte fuori fuoco ed esagerato, mostrava una nuova libertà espressiva nel cinema americano capace di osare e mostrare volti della società disturbanti come non mai; recepiva le esplosioni di violenza, i volti luridi e le fotografie sporche che avevano squarciato il cinema europeo.
Con questo post inauguriamo una rassegna sul genere partendo dalla fine, dal "Revenge" (2017) di Coralie Fargeat arrivato da poche ore nelle sale italiane.
***
TramaJen è la giovane amante di Richard, un uomo di successo che la porta con sé per un weekend in villa in mezzo al deserto. Le cose prendono una piega inattesa quando due amici di Richard, Stan e Dimitri, si presentano con un paio di giorni d'anticipo per la battuta di caccia che avevano organizzato. Il gruppo trascorre la sera insieme e Stan è profondamente eccitato dalla ragazza che lo provoca apertamente. Il giorno dopo, in assenza di Richard, Stan violenta Jen mentre Dimitri non fa niente per impedirlo. Al ritorno di Richard lei vuole giustizia ma lui le offre solo un risarcimento e quando la ragazza minaccia di raccontare della loro tresca alla moglie, lui non ci vede più e la getta giù da un canyon.

1) Quando il R&R è stiloso e vacuo:
Uscito a febbraio in Francia e a maggio in USA (diventando subito campione di incassi), con colpevole ritardo arriva questa versione 3.0 del R&R.
L'uscita del film è stata accompagnato dall'ormai consueta e roboante reclamizzazione sui social; per l'occasione si è scelto di far parlare i commenti, in aperta contrapposizione al film, di alcuni utenti (veri, fittizi o prezzolati che siano), sparati a tutto schermo. 
Andando a memoria fotografica, roba del tipo: «non potranno mai fare un film in cui una tipa è cool quanto un uomo» , oppure: «quando succedono questi episodi è perché la ragazza in questione se l'è cercata». Il tutto inframezzato in un trailer testosteronico, con la classica schitarrata ganza in sottofondo e titolo in ultramega neon.
È difficile stabilire quanto un'operazione di marketing di tale portata possa gonfiare l'hype generale, essendo ormai abituati ad ogni tipo di campagna promozionale più o meno aggressiva, ma tant'è.
Considerando che l'ultimo prodotto del genere R&R risale al 2012, ed è, esattamente, il remake di "Cane di paglia", c'era grande curiosità di capire in che modo potesse venire rappresentata una tematica del genere nell'epoca dei social. Difatti il remake sopracitato, così come quelli di "The last house on the left" e di "I spit on your grave" non si possono considerare una ventata di aria fresca e rinnovamento nel genere, essendo vincolati ad un soggetto non originale, ricalcato sia nel mood che nello stile. Tutto questo per dire che "Revenge" era, sulla carta, praticamente libero di fare il cazzo che voleva.
E lo ha fatto.
A visione ultimata si può dire che il film crea una netta cesura nel filone cinematografico in questione, adottando uno stile e un tono tutto suo, che ha ben altre connessioni e referenze rispetto ai predecessori.
Questo film è profondamente tarantiniano: non per la scorpacciata di violenza, anzi, ma per una questione di delirio egotico registico. 
Spieghiamo meglio. Se questo prodotto rientra nella categoria dei R&R, bisogna però dire che adotta uno stile assai pulp nella caratterizzazione dei personaggi: Jan (l'italianissima Matilda Lutz) è il prototipo della cheerleader in trasferta, sexy e stupida; Richard è il riccone maschilista, bullo e macho, convinto che il denaro possa comprare tutto e incapace di accettare qualsiasi intoppo; Stan e Dimitri gli altri due personaggi maschi? 
Stan ha uno sguardo da maniaco e lo sarà effettivamente nella prima mezz'ora, stante il ruolo di coniglio bagnato della seconda (forse una prova del fatto che il regista sia donna? Cioè una rappresentazione del porco stupratore come di un vile codardo capace solo di prendersela con una preda indifesa), Dimitri è semplicemente un ciccione rincoglionito.
E la violenza è Tarantiniana? Non proprio. 
Il film di Coralie Fargeat tipizza i personaggi, abbonda con il sangue ed esaspera le esplosioni di brutalità, ma lo fa con uno stile iperrealista, più vicino al Cronenberg di "A history of violence". Niente è trascurato, tutto è sotto la lente di ingrandimento della macchina da presa: che sia una goccia di sangue o di sudore, il torsolo bacato di una mela o il movimento di un insetto minuscolo.
Allora perché definire questa pellicola Tarantiniana? 
Semplicemente perché la violenza è strumentalizzata e piegata a un totale esercizio di stile registico. Diciamo che il film, non tanto materialmente, quanto CONCETTUALMENTE è Tarantiniano.  Dal punto di vista tecnico, nel lungo piano sequenza finale girato in steady cam, in cui la protagonista è a caccia di Richard, non si può non scorgere un parallelismo con alcune sequenze di "Pulp Fiction"; è evidente l'abuso di stile nella gran parte delle inquadrature, che appaiono molto ricercate, esasperate e, a tratti, sovrabbondanti (il primo piano insistito di Richard in moto nel deserto di notte; gli accennati dettagli iperrealisti su oggetti e animali; la doppia ripresa a 360 sulla protagonista). Lezione di regia che, peraltro, toppa in modo clamoroso nel raccordare alcune scene e nel gestire le ellissi temporali. Difficile poi non storcere il naso di fronte ad alcune soluzioni narrative poco realistiche e incongrue. La voglia di impressionare lo spettatore è tanta, ma gli scivoloni sono continui.
Tornando al discorso di prima, allo stesso modo si deve considerare Tarantiniana la presa di coscienza e la rinnovata risolutezza di Jen, che avviene attraverso un battesimo "fisico" all'interno di una grotta: siamo lontani dal realismo dei classici R&R, Jen non è soltanto un'eroina metaforica, si erge esplicitamente a icona pop (Mexican beer), una Lady kick-ass cazzuta e (inverosimilmente) armata fino ai denti. 
A tal proposito appare chiaro che qualsiasi rimando sociale/sociologico tipico dei R&R qui viene completamente sputtanato: Jen è presentata come la tipica ragazza vuota e frivola che usa e abusa del suo corpo per fare impazzire gli uomini, senza preoccuparsi delle eventuali conseguenze; un personaggio senza il minimo spessore psicologico (se non lo sguardo ingenuo e puro della Lutz) e spinto a forza, nella prima parte del film, verso lo stereotipo più becero
Jen istiga sessualmente e consapevolmente un multimilionario fedifrago, ma, non paga, fa lo stesso con i suoi due amici, ai suoi occhi perfettamente sconosciuti; come può, perciò, un film sensibilizzare alla violenza sulle donne quando si addobba di ogni luogo comune che, agendo in direzione contraria, sminuisca la causa?
"Revenge" è un film di evidente serie B che gode di un'ambientazione desertica suggestiva, più che azzeccata e inusuale nella tradizione dei Rape and revenge, e di una certosina realizzazione delle scene più gore. Per il resto c'è un po' di stile a buon mercato che, se ricondotto (appunto) ad una produzione di seconda categoria, dà un qualcosa in più all'intrattenimento, ma se portato in pompa magna, con tanto di fanfare e trombe, risulta essere pretenziosità non giustificata.
Insomma non siamo di fronte a un'opera autoriale o a un film tematico, ma semplicemente a un'ora e 50 di intrattenimento action con qualche asso nella manica, ma tutto è già troppo troppo visto. 
E per inciso: quando la smetteranno di fare trailer in grado di spoilerare tutto il film? 
Aridatece i trailer ingannevoli.

Habemus Judicium:
Bob Harris





2) "Revenge": ossia come una ragazza pon-pon può trasformarsi in Tomb Raider
Prima il successo in Francia, poi i botteghini sbancati negli States, finalmente "Revenge" arriva, seppur con un annetto di ritardo, nelle sale italiane; e diciamolo, nell'epoca dello streaming in cui tutto è così facilmente reperibile, è quasi paradossale parlare di questo film come di una vera e propria novità. Detto dei ritardi di una distribuzione non così attenta e della martellante campagna pubblicitaria, andiamo a vedere cosa è (e non è) questo R&R 3.0.
Riprendere un filone cinematografico che tanto ha fatto discutere negli anni '70 e che è stato oggetto negli ultimi anni di poche opere di rinnovamento (penso a quel frullato di generi che è il "Kill Bill" di Tarantino) e tante ciofeche (i remake dei classici), è un'operazione che non può che destare interesse.
Film come "L'ultima casa a sinistra" o "Non violentate Jennifer" hanno avuto il coraggio di disturbare il pubblico con uno smaccato realismo che ha comportato una presa di coscienza, tanto involontaria quanto dolorosa, allo spettatore. In quei film a disturbare non è tanto la violenza, che aveva sì una carica inimmaginabile per l'epoca, quanto la portata sociale che la messa in scena racchiudeva. La voglia di paragonarsi con questi offre spunti interessanti quindi, ma anche molti pericoli.
Mettiamo subito le cose in chiaro: "Revenge" ricalca il solito canovaccio stupro/vendetta, lo infarcisce di un'estetica nuova (che molto deve al cinema pulp) ed assurge allo stato di B-Movie. Niente di più, niente di meno.
I personaggi sono tutti stereotipati; lo è Jen, perfetta ragazza pon-pon da college americano, un corpo sexy come non mai ed una innata propensione all'apparire. Lo stesso dicasi per il compagno Richard, bello e ricco da far schifo, che crede di poter comprare tutto e tutti con i soldi. O per lo stupratore Stan, viscido e forte solo con i deboli. I loro caratteri sono bidimensionali e tagliati con l'accetta.
Nonostante ciò questo "Revenge" ha una sua anima: va dato atto alla Fargeat di seguire con forza e dedizione la propria strada.
C'è innanzitutto la ferma volontà di riappropriarsi del R&R e mettere al centro una supereroina in grado di prendersi tutta la scena e stupire. La vediamo fuggire dai suoi aguzzini, essere spinta in un canyon e ritrovarsi con un buco in pancia più grosso di quello che mise alle corde il Mr. Orange delle Iene. Ma lei resuscita cazzutamente, si trasforma in una novella Tomb Raider, meno prorompente, dai lineamenti dolci e certamente più interessante, che ha un solo obiettivo: impallinare quelle merde di uomini che le hanno fatto tutto ciò. E lo ammetto, la rabbia furente di Jen esercita un certo fascino.
"Revenge" è un film di contrasti. Lo è nei personaggi come si è detto, ma lo è anche nelle scelte tecniche: la fotografia è sempre alla ricerca di colori sparati; la colonna sonora, vero valore aggiunto del film, accompagna ottimamente Jen verso la fuga dalla casa con netti cambi di toni; la regia così iperrealista, indugia sul particolare putrido, si perde nei simboli e si movimenta sempre di più. E va detto, la Fargeat esagera: ci sono passaggi sovrabbondanti, ridondanti ed ai limiti del kitsch (si veda l'accoppiata uomo-animale in cui la regista si fa novella Eisenstein); si è evidentemente dimenticata l'antico adagio Less is more.
Mostra il fianco ma riparte e recupera nell'ambientazione, così inusuale nel genere: una maxi villa da esibizionista, immersa nel deserto; davvero suggestiva la scelta di questo spazio sconfinato fatto di una natura arcigna pronta a collassare sull'innocente che fugge.
E poi ovviamente c'è il contenuto, il messaggio che ci vuole mandare, funzione cardine dei nobili predecessori. Coralie Fargeat prova lo stesso percorso, questo è innegabile.
Nella prima parte del film ci dà in pasto il corpo femminile di Jen, metafora di come questo sia visto all'interno della nostra società (e nell'ambiente cinematografico). Poi mette in bocca a Richard frasi in cui riecheggiano quelle di "Non Violentate Jennifer"; lo stupro, nella sua mente distorta, diviene una semplice cazzata, risarcibile con il denaro e giustificabile: sei così dannatamente bellaè difficile resisterti.
Ecco qui sta l'essenza del film, peccato però che il messaggio appaia in parte annacquato.
Certo paga lo scotto di un percorso tracciato già 40 anni fa; su questo però non ci si può far niente. Ma non è il solo problema. "Revenge" paga la propensione violenta e gore, che se da un lato appare davvero ben eseguita, dall'altro sembra essere troppo fine a sé stessa: si è lontani anni luce dal finale grottesco e femminista di "Non Violentate Jennifer", pietra angolare del genere.
"Revenge" (forse) crede di essere un film rivoluzionario ma non lo è.
E' intrattenimento portato avanti degnamente, funziona e dà nuova veste ad un sottogenere che, negli ultimi anni, ha dovuto sopportare una lunga sequela di remake che si sono limitati a copiare (e male) lo stile degli anni '70.
Non è molto, ma neanche così poco [Continua...].

Habemus Judicium:
Ismail

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