lunedì 3 settembre 2018

"PASOLINI" (2014) DI ABEL FERRARA

Caro Abel non deve essere stato facile immaginare questa pellicola su Pasolini. La sua è una figura che sfugge da ogni categoria.
Poeta, romanziere, dialoghista, sceneggiatore, attore, critico o regista?
Pasolini la fece facile in quell'intervista rilasciata a Philippe Bouvard poche ore prima della morte: «Nel passaporto c’è scritto semplicemente scrittore».
E dire che in questi tempi il suo pensiero è rimbalzato sulla labbra di persone che difficilmente immagino con un suo libro in mano o un suo film nel lettore dvd.
Valle a capire le cose.
***
Mettiamo le cose in chiaro, "Pasolini" non è un biopic. O almeno non ha quel canovaccio, dal retrogusto televisivo, spesso seguito per questo genere: Ferrara pone l'attenzione sulle ultime ore di Pasolini sfuggendo dalla ricostruzione didascalica e cronologica di volti, fatti e pensieri
Si parte con l'intervista rilasciata a Bouvard per Antenne 2 a Parigi, famosa per il discorso sullo scandalizzare. Sullo sfondo intravvediamo "Salò o le 120 giornate di Sodoma"[LINK] ancora in fase di montaggio, il film che di lì a poco sarebbe divenuto il chiodo fisso della censura italiana.
Pasolini torna a Roma.
Ferrara ricompone i momenti familiari, nella casa dell'Eur, con la madre e la cugina; assistiamo alla visita di Laura Betti, appena tornata dalla Croazia dove ha preso parte alle riprese di "Vizi privati, pubbliche virtù", lo scandalo di Cannes '76 che avrebbe portato in aula di tribunale, per il reato di oscenità, il regista e lo sceneggiatore; riviviamo il siamo tutti in pericolo detto a Furio Colombo, simbolo di quella disillusione verso una società non più composta da  esseri umani, ma da strane macchine che sbattono l’una contro l’altra; accompagniamo poi lo scrittore a cena, nella sua solita osteria, in una Roma attraversata dalla violenza politica.
Ma il "Pasolini" di Ferrara non è una cronaca delle ultime 24 ore di vita di Pasolini. Il regista crea delle istantanee che sovraccarica (forse troppo, forse no) di significati, ed a queste accosta momenti che spezzano la realtà: ci ritroviamo a tu per tu con le ricostruzioni cinematografiche di "Petrolio", l'ultimo romanzo incompiuto, e di "Porno Teo Kolossal", il seguito ideale di Salò che rimarrà solo su carta; e l'effetto è straniante a tal punto che può far anche storcere il naso.
Il "Pasolini" di Ferrara è un progetto coraggioso che non ricerca una verità avventurandosi nelle tesi sulla morte dello scrittore bolognese; il suo obiettivo è dare immagine a ciò che non l'aveva e lo fa con un approccio volutamente frammentario ed intellettuale, trasmettendo quel senso di disillusione che si respirava all'interno delle ultime opere/parole di Pasolini. Ed è questa la vera forza/debolezza del film.
Ci lascia attoniti dinnanzi ad un corpo massacrato sulla sabbia del litorale romano. Una morte semplicistica di un uomo abbandonato, un delitto, dirà Moravia, i cui «mandanti [...] sono una legione, in pratica l'intera società italiana».
La pellicola crea una suggestione, sembra richiamare le parole spese da Pasolini per "La scomparsa di Majorana" di Leonardo Sciascia e su cui, guarda caso, la telecamera indugia ad inizio film: «È bello, è bello il Majorana di Sciascia. È bello perché ha visto il mistero ma non ce lo dice, hai capito? C'è una ragione per quella scomparsa. Ma lui sa che in questi casi un'indagine non rivela mai niente. È un libro bello proprio perché non è una indagine, ma la contemplazione di una cosa che non si potrà mai chiarire».
"Pasolini" è un film imperfetto.
E' volutamente poco cinematografico.
E' il più sentito omaggio allo Scrittore.

S.V. 
Ismail

Nessun commento:

Posta un commento