domenica 29 maggio 2011

"CITY OF GOD" (2002) : IL CINEMA BRASILIANO DI QUALITA' (PARTE I)

Se dovessi scegliere un film che per certi aspetti mi ricorda ""Valzer con Bashir"(LINK)" direi senza dubbio "City of God": una pellicola che sa disorientare e sconvolgere lo spettatore, ed allo stesso tempo imprimere piacere nella visione con il suo stile accattivante.
Presentato fuori concorso al 55esimo Festival di Cannes nel 2002 e candidato a 4 premi Oscar, senza peraltro vincerne nessuno, l'opera porta la firma di Fernando Mereilles che si farà apprezzare successivamente con film di matrice hollywoodiana come "The Constant Gardener"e "Blindness"
"City of God" non è un film di denuncia. Il suo scopo non è mostrare la realtà dei fatti. I riferimenti a problematiche di attualità resta sempre marginale e generica. Semplicemente il film vuole raccontare una storia, anzi, più storie che si intrecciano fra loro. Storie che lasciano il segno per il loro svolgimento, ma soprattutto per il modo in cui ci vengono raccontate.
Mereilles è abile a dirigere il film prendendo a modello Tarantino Danny Boyle: dal primo mutua l'intreccio di personaggi e storie, ciascuna delle quali interdipendente dall'altra; dal secondo, invece, lo stile ipercinetico tipico dei videoclip, e quella fotografia intensa e colorata cara al regista di Manchester.
"City of God" sono 30 anni di vita (si va dagli anni '60 agli '80) in una favela brasiliana, un'epopea del crimine a cui non mancano elementi da tragedia greca.
Il protagonista, nonché voce narrante, è Buscapè, un giovane cresciuto della Città di Dio, sempre estraneo a violenze e criminalità e con il sogno di diventare un fotografo. E proprio per via della sua onestà, di tanto in tanto defila dal racconto dovendosi accontentare della funzione intradiegetica.
Allora spazio a Cabeleira, Marreco, Benè, Galigna e Cenoura, tutti personaggi presi da qualche poema epico e catapultati sul grande schermo. Oppure a Mane Galinha (bandito realmente esistito) che ci porrà dinanzi al quesito principale del film: ha senso vivere in modo onesto in un mondo, un ambiente in cui solo la violenza paga ed assira il giusto futuro?
E sopratutto spazio a Ze Pequeno, iper-violento, represso e nichilista, una figura titanica ed (auto)distruttiva attorno la quale costruire le trame narrate. Quando è in scena si può solo assistere passivamente alla violenza gratuita ed esasperata di cui egli fa uso e della quale sembra nutrirsi.
Immaginerete facilmente la presenza di scene crude, come uno stupro e l'uccisione di bambini, seppur mitigate da una forma che nega la visione esplicita e rispetta la sensibilità dello spettatore.
Così come non mancano gli intrecci tra diversi piani narrativi e temporali, lasciati in sospeso, ripresi e razionalizzati dalla voce fuori campo, un montaggio frenetico e d'impatto che ha richiesto ben 5 mesi di post-produzione.
Mereilles ci offre una gangster story alternativa rispetto ai canovacci tradizionali ed in grado di appassionare, una pellicola che, dietro l'impacchettamento pop, mostra la capacità di saper sa raccontare il lato disperato della società. Il cinema brasiliano, così di periferia ai nostri occhi, mostra capacità e coraggio nel raccontarsi. Lavori come "City of God" e "Tropa de Elite"(LINK) , stanno lì a dimostrarcelo.

Habemus Judicium:
Bob Harris

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