Esiste, seppur raro, un cinema capace di raccontare una storia. Non parlo semplicemente dell'abilità nel farlo, ma della magia, insita nella mano di alcuni sceneggiatori, di creare un'atmosfera suggestiva e coinvolgente. Tra questi sceneggiatori rientra sicuramente Drew Goddard, già abile storyteller di uno degli horror più bizzarri e geniali degli ultimi anni, "Cabin in the wood" (da noi distribuito con il titolo "Quella Casa nel Bosco"), nella doppia veste di sceneggiatore e regista.
Trama: siamo alla fine degli anni sessanta e l'hotel El Royale nasconde diversi segreti. Qui si ritrovano tre sconosciuti: una giovane cantante, un anziano prete e un venditore di aspirapolvere. Il gestore dell'albergo illustra loro una piantina della struttura facendogli scegliere se alloggiare in Nevada o in California, visto che l'hotel è esattamente sopra il confine tra i due stati. Ad un certo punto una ragazza hippie entra nell'hotel con comportamenti ambigui. Tutti diventeranno sospettosi gli uni verso gli altri ed ognuno dei presenti si troverà in quel posto per delle ragioni precise.
"Bad time at the El Royale" suona decisamente meglio della insulsa traduzione italiana ("7 Sconosciuti a El Royale") e rende perfettamente l'idea di ciò che succederà nell'arco della pellicola.
Il film è strutturato in modo circolare: fin da principio vengono principalmente presentati i due personaggi che ci accompagneranno fino al pirotecnico epilogo della pellicola. Ed a conti fatti El Royale si avvicina molto a prodotti quali "Hateful Eight" e "Identità", riprendendone gran parte della struttura del primo e l'ambientazione del secondo.
A differenza dell'opera di Tarantino, El Royale non si avvale di dialoghi particolarmente brillanti ed incisivi, ma sicuramente si giova di una grande attenzione nella caratterizzazione dei personaggi, vero punto di forza della pellicola.
La regia di Goddard è poi abile nel giocare sui diversi piani temporali che vanno poi a comporre il mosaico dell'intreccio narrativo e si nota una certa abilità (di cui abbiamo già avuto prova in "Cabin in the wood") nell'orchestrare le sequenze più concitate e ad alto tasso di violenza. Nonostante la sua durata corposa (più di due ore), la capacità di tessere una trama così complessa, ma accattivante, evita di far ballare l'occhio sulla lancetta dell'orologio. Tanta tanta roba davvero.
"7 sconosciuti a El Royale" non è né un film politico né racchiude in sé particolari rimandi ipertestuali, eppure riesce a tratteggiare dei caratteri che, pur nell'assurdità delle situazioni, sono realistici ed alcuni concetti, di cui sono portatori, risultano essere molto ficcanti, pur nella loro intuitività. Discorso a parte per il charachter impersonato da Chris Hemsworth che è, almeno in parte, una stonatura: introdotto tardivamente da fanfare Tarantiniane, dovrebbe portare un ulteriore scombussolamento dell'intreccio, ma risulta stereotipato e superficiale; tutto sommato però, la trovata si digerisce e garantisce un ultimo atto adrenalinico, per quanto sovrabbondante rispetto a gran parte dell'intreccio.
Colorato, stiloso, canterino (ma serioso) e ben interpretato da un cast di livello (Cynthia Erivo gran bella rivelazione), El Royale non è niente di rivoluzionario, quindi, né eccessivamente pretenzioso, ma ha diverse carte vincenti e se le gioca tutte egregiamente.
Fin quando ci garantiranno il diritto di andare al cinema a vedere prodotti di questo tipo, che ci ammaliano fino a trascinarci totalmente nel loro mondo per due ore e più, beh allora saremmo soddisfatti di aver speso quella manciata di denari, liberati per una serata dalla schiavitù di una piattaforma totalizzante.
Trama: siamo alla fine degli anni sessanta e l'hotel El Royale nasconde diversi segreti. Qui si ritrovano tre sconosciuti: una giovane cantante, un anziano prete e un venditore di aspirapolvere. Il gestore dell'albergo illustra loro una piantina della struttura facendogli scegliere se alloggiare in Nevada o in California, visto che l'hotel è esattamente sopra il confine tra i due stati. Ad un certo punto una ragazza hippie entra nell'hotel con comportamenti ambigui. Tutti diventeranno sospettosi gli uni verso gli altri ed ognuno dei presenti si troverà in quel posto per delle ragioni precise.
"Bad time at the El Royale" suona decisamente meglio della insulsa traduzione italiana ("7 Sconosciuti a El Royale") e rende perfettamente l'idea di ciò che succederà nell'arco della pellicola.
Il film è strutturato in modo circolare: fin da principio vengono principalmente presentati i due personaggi che ci accompagneranno fino al pirotecnico epilogo della pellicola. Ed a conti fatti El Royale si avvicina molto a prodotti quali "Hateful Eight" e "Identità", riprendendone gran parte della struttura del primo e l'ambientazione del secondo.
A differenza dell'opera di Tarantino, El Royale non si avvale di dialoghi particolarmente brillanti ed incisivi, ma sicuramente si giova di una grande attenzione nella caratterizzazione dei personaggi, vero punto di forza della pellicola.
La regia di Goddard è poi abile nel giocare sui diversi piani temporali che vanno poi a comporre il mosaico dell'intreccio narrativo e si nota una certa abilità (di cui abbiamo già avuto prova in "Cabin in the wood") nell'orchestrare le sequenze più concitate e ad alto tasso di violenza. Nonostante la sua durata corposa (più di due ore), la capacità di tessere una trama così complessa, ma accattivante, evita di far ballare l'occhio sulla lancetta dell'orologio. Tanta tanta roba davvero.
"7 sconosciuti a El Royale" non è né un film politico né racchiude in sé particolari rimandi ipertestuali, eppure riesce a tratteggiare dei caratteri che, pur nell'assurdità delle situazioni, sono realistici ed alcuni concetti, di cui sono portatori, risultano essere molto ficcanti, pur nella loro intuitività. Discorso a parte per il charachter impersonato da Chris Hemsworth che è, almeno in parte, una stonatura: introdotto tardivamente da fanfare Tarantiniane, dovrebbe portare un ulteriore scombussolamento dell'intreccio, ma risulta stereotipato e superficiale; tutto sommato però, la trovata si digerisce e garantisce un ultimo atto adrenalinico, per quanto sovrabbondante rispetto a gran parte dell'intreccio.
Colorato, stiloso, canterino (ma serioso) e ben interpretato da un cast di livello (Cynthia Erivo gran bella rivelazione), El Royale non è niente di rivoluzionario, quindi, né eccessivamente pretenzioso, ma ha diverse carte vincenti e se le gioca tutte egregiamente.
Fin quando ci garantiranno il diritto di andare al cinema a vedere prodotti di questo tipo, che ci ammaliano fino a trascinarci totalmente nel loro mondo per due ore e più, beh allora saremmo soddisfatti di aver speso quella manciata di denari, liberati per una serata dalla schiavitù di una piattaforma totalizzante.