mercoledì 5 ottobre 2011

UN FRAMMENTO NOIR: PARTE II

Un mondo asettico. Tutto intorno estesi spazi bianchi e squadrati, simmetrici e armonici. Oppure no. Una enorme carillon, barocco e vivace, soave e melodico nella sua armonia, e, purtuttavia, ripetitivo e sdolcinato nel suo perpetuo ripetersi. Comunque la volesse rappresentare allegoricamente, per Hype questa era la vita, specie la sua: una quotidianità ripetitiva e monotona, un'esistenza tanto bella nel suo apparire quanto fiacca e spenta nel suo incedere. Il fatto è che Hype credeva fermamente, per sua diretta esperienza, che la monotonia del vivere lasciasse spazio molto raramente a Coupes de theatres, per lo più negativi e devastanti. In fondo, la gioia per un'inattesa sorpresa quasi sempre gli era stata mortificata sul nascere, tanto da non permettergli di goderne. Non vi era più nulla che stimolasse Hype, anche se egli aveva avuto un passato fatto di grandi passioni, tante, troppe sofferenze e altrettante rivincite. Temprato nel corpo e nella mente si era restituito al mondo di volta in volta sempre migliore. Aveva vissuto ogni sorta di esperienza egli ritenesse stimolante e probante per la sua persona, ne era uscito tutto intero e, apparentemente, senza riportare ferite. In realtà una piccola crepa si era aperta nel suo animo, che, nel corso degli anni, si era estesa fino a divenire una voragine. L'esperienza in cambio dell'innocenza, il cinismo in luogo della purezza e spontaneità. Vista da fuori la vita di Hype poteva, in fin dei conti, sembrare appagante. Egli sapeva dare valore alle cose che lo circondavano. Ma quale valore? Lo stesso che darebbe un bambino di fronte all'oggetto del suo desiderio? O quello proprio di una creatura fragile, anima solitaria in mezzo a suoi simili. Non sono forse questo l'amicizia e l'amore: un sintomo di fragilità personale? Per Hype questi sentimenti non avevano nulla di ideale e platonico, erano semplici rifugi dalla paura e dal vuoto. E anche se Hype si convinceva spesso del contrario, doveva constatare la realtà dei fatti. Non poteva e non doveva aspettarsi troppo dagli altri, ognuno corre sul suo binario, vittima dei suoi problemi. In amore ciò fu difficile da realizzare. Hype tendeva ad idealizzare i suoi sentimenti e quelli delle "sue" donne. E più tempo passava, più egli si rendeva conto di quanto esse fossero distanti da lui, corpi freddi e inanimati, in un deserto di ghiaccio. Dapprima si circondava di tante donne, pensando di poter sopperire al suo vuoto emotivo, comprando affetto a buon prezzo. In realtà finiva per nutrire esclusivamente il suo ego e i suoi bassi istinti;infine neanche quelli. Preferiva una solitudine materiale e spirituale a un tempo, piuttosto che indossare una maschera di falsa realizzazione personale. Non aveva da convincere nessuno, non voleva giustificarsi con nessuno:era solo più onesto con se stesso e con gli altri nell'affrontare la sua fragilità. Colei sarebbe arrivata un giorno, si sentiva dire. Egli l'aveva aspettata e aveva creduto di trovarla. Tante illusioni seguite da altrettante delusioni. Non solo la delusione di vedere spezzato un sogno apparso così reale, ma, soprattutto, quella di vedere deturpata un'immagine che era stata tanto cara ad Hype, quanto rivelatasi distorta ed effimera. Egli bramava vendetta per quello scempio di sentimenti; voleva sempre giustizia per tanta sofferenza o magari soltanto una seconda occasione. Ma quando quelle figure a lungo attese facevano ritorno, qualcosa era cambiato  in Hype: ora ai suoi occhi apparivano come spettri che emergevano dal suo passato, pallida immagine di ciò che per lui avevano rappresentato. Tornavano improvvisamente e poi, subito, scomparivano.  Lasciando in eredità ad Hype soltanto la consapevolezza di non sapersi fare apprezzare, ma solo rimpiangere.
Bob Harris

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