martedì 22 febbraio 2011

SUL TRENO DELLA VITA CIO' CHE CONTA E' IL VIAGGIO, NON LA DESTINAZIONE

La vita è un biglietto di sola andata per la morte. Un viaggio con una sola direzione e nessun ritorno. Alcuni non fanno nemmeno in tempo a vidimare il titolo di percorrenza, altri si perdono per le stazioni intermedie, altri ancora preferiscono scendere quando il treno è in corsa.... Per coloro i quali rimangono sul convoglio fino al capolinea, il viaggio non è certo sempre piacevole. Le poltrone sono scomode, il cibo è spesso di bassa qualità, talvolta manca addirittura il servizio vagone. Vi sono momenti però in cui un cuscino e l'aria condizionata rendono tutto l'ambiente più piacevole all'apparenza, al tatto della mente. Già perché pochissimi sentono, vivono, fanno proprio il viaggio. La maggior parte dei passeggeri è troppo presa a fissare il panorama, ascoltare la musica con le cuffiette, a leggere un libro che da troppo tempo tengono aperto sul comodino, o magari a ripassare per qualche esame non ben precisato, strisciare documenti per un lavoro che non sanno nemmeno come si sono ritrovati a fare. Una buona parte è troppo occupata a fissare le gambe della dirimpettaia e pensando a come approciare, come attaccare discorso, spesso finisce per scendere dal convoglio senza aver spiccicato parola. I più intraprendenti magari invece non fanno altro che flirtare per tutto il viaggio e quasi sciolgono nella passione del momento, la fredda coscienza del pensiero, lasciando all'attimo fugace, anzi che alla presente coscienza, la narrazione. C'é chi ovviamente legge giornale, più per vezzo che per interesse, senza riflettere su ciò che legge, perché è troppo impegnato a sentirsi intellettualmente assorto nella lettura di quella che è una spesso inveritiera e tendenziosa informazione. C'é chi affanosamente, nascosto nell'ombra compila, attento a non essere troppo preciso, il modulo di un settequaranta, così al buio da rimetterci la vista, oltre che l'onestà. Abbiamo poi chi parla al cellulare, scrive un messaggio dietro l'altro, chiacchiera amabilmente col vicino: non importa cosa si comunichi, le consuete frasi da conversazione sono più che sufficienti. C'é chi fa molte cose insieme, smarrendo il sapore di ciascuna. E chi infine, irrimediabilmente pigro, si ostina a dormire, forse talvolta a sognare. Nessuno di questi però coglie la propria ragione del viaggio, nessuno di loro la cerca, la costrusice, la orna, la modifica, ognuno si limita a vivere ciò che la contingenza gli offre. Molti sono così soddisfatti, quasi assuefatti dall'essere vissuti, che nemmeno si domandano come sarebbe vivere. Altri benché insoddisfatti, preferiscono nuotare nel lago della banalità, piuttosto che buttarsi nell'oceano dell'originalità, certo insidioso, ma unico, inenerrabile dalla voce di chi, con occhi diversi dai propri, provi a raccontarne le forme, i colori, i sapori, i caleidoscopici giochi di luce. Non esiste un manuale di viaggio, perché le destinazioni sono molteplici, tutte diverse, pur se alla fine tutte uguali... Esiste però il proprio manuale, quello che si scrive, anzi si pensa da soli, perché impresso nella mente è più facile da modificare all'occorrenza ed ovviamente più comodo anche da consulatare, che stampato sulla carta. Questo viaggio che noi intrapendiamo senza volontà, è l'unica opportunità di essere ciò che siamo, in una sorte di genesi autodiegetica di noi stessi, che trova lume nella coscienza. Già la coscienza quella che più di ogni altra cosa ci rende spesso insensibilmente distaccati dal piacere, così come dal dolore, per la sua irragionevole maniacalità di schematizzare e razionalizzare tutto, sintetizzarlo in numeri, in formule. Ma no, la coscienza non è l'occhio bacchettone dell'anima, la coscienza siamo noi e l'anima è una sua invenzione, al tempo brillante, ora francamente ridicola, per incrementare l'empatia di noi stessi col creato, per sentirsi meno soli, lì sui divanetti del vagone passeggeri. L'individualità ha radice nell'inconscio, ma estende i suoi rami, apre le sue foglie, schiude i suoi fiori nell'immensità dell'aria, alla tiepida luce del sole, dove i vincoli della terra sono meno stringenti, pur se indirettamente sempre presenti. La verità è che il percorso del nostro viaggio non lo scegliamo noi, il nostro biglietto ha una destinazione obbligata, e possiamo anche provare a scongiurare il capotreno di cambiare rotaia, ma la verità è che non può ascoltarci, perché non veste i panni dell'uomo, ma quelli del funzionario, anzi impersonifica la funzione, è la funzione stessa: il cappellino e la giacca blu a doppio petto glieli abbiamo cuciti noi addosso per illuderci che ci sia qualcuno di simile a noi a guidare la locomitiva. Solo quando realizziamo, che a dominare il nostro percorso è in realtà la contingenza, la quale, quando diventa del tutto imperscrutabile all'analisi eziologica della nostra mente, si tramuta in caso, allora possiamo provare a modificare e dirigere da soli il nostro viaggio. Sì perché è vero che il percorso è fisso, sconosciuto ed immodificabile, ma il viaggio è un'altra cosa, il viaggio è il modo in cui decidiamo di vedere il percorso: il viaggio è nostro. Allora è bene non farsi abbindolare dal singolo evento, ma iscrivere un senso a tutta la storia, nella sua interezza. Nei momenti in cui si ascolta una bella canzone e fuori dal finestrino ci scorre accanto la meravigliosità del paesaggio, ma anche quando siamo stanchi, nauseati dal viaggio e dall'interminabile successione di gallerie buie che ci si parano davanti. Per fare ciò è bene non legare mai indissolubilmente se stesso alla copertina di un libro: potrebbe andar via la luce. Né alle rallegranti sinfonie che ci regala il nostro i-pod: le batterie prima o poi finiranno. E pur giunta nemmeno alla presenza della nostra compagna di viaggio, occasionale o duratura che sia. Certo ci allieta come null'altro e sembra quasi far svanire l'impressione del tempo, lo spessore delle pareti del vagone, tramutare l'ambiente tutto, renderlo etereo, ma anche questo è un regalo della nostra mente, difficile da scartare e fragile da maneggiare, talvolta effimero, traviante: in ogni caso da vivere nel simposio di romantica passione e consapevole ragionevolezza. Il nostro ego che si abbia il coraggio e la lucidità di ammetterlo o meno, è fonte di ogni pensiero ed impressione, troppo spesso dominatore dominato dai fatti. Solo nell'equilibrio della propria coscienza si potrà godere con sapiente e vitale armonia del nostro viaggio, solo conoscendo ed alimentando la propria mente, si diviene il più possibile compos sui, vivendo così come desideriamo, come vogliamo, non semplicemente come sentiamo. La felicità va piluccata da ciò che ci circonda, ma la mano che l'afferra deve sempre essere ragionevolmente guidata dal nostro Io. Il piacere in fondo è come un fiore di mesembranteno: si schiude solamente al tepore luminoso della coscienza. Improntando la rappresentazione del proprio viaggio su questi binari, l'arrivo al capolinea sarà consapevolmente delineato come inevitabile, ma mai come angoscioso, prossimo, pressante, bensì come secondario, non presente sul treno, magari pronto ad attenderci a qualche stazione che non conosceremo mai, perché quando il treno vi arriverà, noi non saremo più in viaggio, non saremo più passeggeri del convolglio: passati, più che passanti. Concentriamoci sul viaggio, è quello che conta: la partenza e la conclusione sono solo condizioni logicamente ed ineluttabilmente necessarie alla sua esistenza.

Adamantine ego

3 commenti:

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  2. "[...] Per la stessa ragione del viaggio, viaggiare.[...]"
    -Fabrizio De André, Khorakhané-
    Secondo me la vera ragione del viaggio è appunto viaggiare, come la vera ragione della vita è la vita stessa, è vivere. Fabrizio, in Khorakhané parla appunto del popolo rom (per il resto del mondo "zingari", non popolo, essendo sprovvisti di una terra e di una nazionalità) come un popolo che non insegue uno "scopo" con il suo viaggiare, c'è solo un necessario viaggio senza fine. Non c'è scopo nella vita, la morte non è lo scopo, lo scopo è la vita stessa... il vicino che flirta, il passante che legge distrattamente il giornale e il capotreno che ti fa la multa se non hai il biglietto, sono solo elementi di contorno per qualcosa di molto più grande e felice. Come del resto, tu che scrivi saggi sul viaggio mentre sei sul treno, sei solo un elemento di contorno nella vita del controllore bastardo.

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  3. Sì certo, il viaggio è soggettivo, perché il viaggio è la vita, che vale come stessa e per se stessa. Null'altro al di fuori di essa è importante e ribadisco, partenza ed arrivo sono solo condizioni indispensabili al suo esistere. La gente che è intorno non è propriamente contorno, ma materiale formante dell'esistenza, senza di essi la vita sarebbe qualcosa altro, sarebbe un altro viaggio, su una altro treno, un altro binario. Il punto centrale è che dove volgere lo sguardo dentro e fuori il vagone e come interpretare ciò che vedi, lo devi decidere tu, perché solo così ti sentirai felice protagonista del viaggio!

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