«Felicità è anche non accorgersi che in realtà si è soli»
Di questi tempi, quando si pensa alla cucina giapponese, a noi occidentali medi viene subito in mente solo una parola: Sushi. Ma non è al tipo di cucina e ai piatti nipponici che si riferisce il titolo del primo libro di Banana Yoshimoto, edito in patria nel 1988 e dai noi pubblicato tre anni più tardi.
"Kitchen" attinge dalla categoria dei manga Shojo, una produzione fumettistica destinata ad un pubblico femminile che va dai dieci anni fino ai diciotto. Ovviamente non è un racconto per adolescenti, anzi. Di giovanile ha solo lo stile semplice, immediato, privo di artifici tecnici, che rende la narrazione sempre viva ed interessante.
La cucina, qui intesa come luogo fisico, rappresenta la costante nell'evolversi degli eventi e diventa il rifugio per i protagonisti, in cui proteggersi dal mondo esterno, una sorta di non-luogo dove poter dimenticare i problemi che assillano i fragili animi dei personaggi.
La protagonista, Mikage, rimasta orfana della nonna con cui viveva, trova rifugio in casa da Yuichi, suo compagno di università. La giovane studentessa è patita di cucina e sogna di diventare una grande cuoca; per Mikage e Yuichi il punto di riferimento fondamentale è Eriko, madre di Yuichi,
Tra i due ragazzi sorge un amore platonico che sembra non doversi mai concretizzare; essi rifondono la propria solitudine, le loro paure, fuori dalla cucina e all'interno di essa sembrano vivere in uno stato di immobilità perpetua rispetto ai problemi che si portano dietro. A rompere questo meccanismo interverrà la dura realtà che costringerà i due giovani a compiere delle scelte importanti e ad uscire dal loro guscio emotivo e fisico.
La protagonista, Mikage, rimasta orfana della nonna con cui viveva, trova rifugio in casa da Yuichi, suo compagno di università. La giovane studentessa è patita di cucina e sogna di diventare una grande cuoca; per Mikage e Yuichi il punto di riferimento fondamentale è Eriko, madre di Yuichi,
Tra i due ragazzi sorge un amore platonico che sembra non doversi mai concretizzare; essi rifondono la propria solitudine, le loro paure, fuori dalla cucina e all'interno di essa sembrano vivere in uno stato di immobilità perpetua rispetto ai problemi che si portano dietro. A rompere questo meccanismo interverrà la dura realtà che costringerà i due giovani a compiere delle scelte importanti e ad uscire dal loro guscio emotivo e fisico.
Non aspettatevi una narrazione ricca di colpi di scena o di forti emozioni, siamo dinnanzi ad un racconto pervaso da un senso di velata malinconia velata. Il disagio che vivono i personaggi, le loro emozioni, nonché il tema della famiglia che ribalta la concezione tradizionale, vengono affrontate con la delicatezza e l'eleganza propria di una sensibilità narrativa orientale con i suoi rigidi schemi tipici di una società rituale come è quella giapponese.
Per chi, come me, è profondamente affascinato dalla cultura e dallo stile del Giappone questo libro costituisce uno degli innumerevoli tasselli fondamentali per poterne comprendere e amare l'essenza. Da questo racconto è stato tratto un film.
Io però vi consiglio di fermarvi qui, all'opera prima di Banana, che è anche il suo capolavoro.
Habemus Judicium:
Io però vi consiglio di fermarvi qui, all'opera prima di Banana, che è anche il suo capolavoro.
Habemus Judicium:
Bob Harris
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