venerdì 29 luglio 2011

GENOVA DIECI ANNI DOPO (PARTE IV): LA CASERMA BOLZANETO



Prima del summit del G8 e delle manifestazioni si era preparato un piano anti-Black block,e la caserma di Bolzaneto era stata individuata come il luogo dove portare i violenti che venivano fermati. Secondo tale pianificazione i fermati sarebbero dovuti passare per la caserma per poi essere trasferiti nelle carceri tradizionali. Peccato che il piano che stato messo su carta non venne mai applicato, al punto che all'interno della caserma ci finirono centinaia di fermati, molti di più di quanto preventivato, per di più non legati al famigerato blocco nero.
Cominciò così una tre giorni in cui la democrazia e  lo stato di diritto venne meno, in cui venne negata l'assistenza legale ed i fermati furono costretti a subire numerose violenze.


Le testimonianze dei fermati:
Secondo le testimonianze dei fermati tra le forze dell'ordine c'era uno stato di euforia vista la possibilità di infierire sui manifestanti. I fermati furono costretti, per ore, a stare in piedi in posizioni che gli agenti definivano del "cigno" e della "ballerina", senza acqua, senza la possibilità di espletare le normali funzioni biologiche (alcuni furono costretti ad urinarsi addosso).  
Testimoni hanno raccontato agli inquirenti di insulti e derisioni di ogni tipo (alcuni sono stati costretti ad abbaiare). Ci furono minacce a sfondo sessuale nei confronti delle ragazze, costrette a sentirsi dire frasi come «stasera vi scoperemo tutte» o «ti piace il manganello»
Altre  furono costrette a spogliarsi ed a fare piroette nude davanti gli agenti. 
Le violenze purtroppo, a detta delle testimonianze, non si fermarono a quelle psicologiche
Si registrarono diversi malori per il lancio di gas urticanti all'interno delle celle.  
Altri furono percossi, presi a calcipugni e manganellate all'interno delle celle, lungo i corridoi (alcuni dei fermati affermarono di esser stati costretti a passare tra due ali di agenti che li insultavano, sputavano e manganellavano), in infermeria e nelle docce . 
Un ragazzo,vittima di un agente più fantasioso, venne costretto a denudarsi ed a fare flessioni mentre veniva manganellato sulle gambe. Un altro affermò che un agente gli prese due dita della mano sinistra, tirò violentemente in senso opposto e con la divaricazione provocò una ferita lacero contusa di 5 centimetri con gli strappò i legamentiUna ragazza a causa del forte stress che stata vivendo inizio a vomitare nella cella, non venne portata in infermeria ma lasciata li con lo scottex  costretta a pulire ed a fare il saluto romano.

Le testimonianze degli agenti:
A parlare di violenze non furono solamente i manifestanti fermati e portati nella caserma Bolzaneto, ed un avvallo giunse anche da due agenti pentiti.
Un ispettore dei Gom, il gruppo operativo della polizia penitenziaria, in un'intervista a "La Repubblica" di qualche tempo fa, disse:
«Ce li consegnavano pestati, sanguinanti, qualcuno piangeva, altri urlavano, altri ancora erano impietriti dalla paura e con gli occhi pesti. Un ragazzo straniero aveva i testicoli rotti [..] non ho mai visto tanto dolore sulla faccia di una persona. Ma noi non c'entriamo nulla: portavamo quei ragazzi in carcere come ci arrivavano dai gabbioni della polizia. Due li abbiamo ricoverati in ospedale».
Sempre su "La Repubblica", un agente del Gruppo operativo mobile di polizia penitenziaria, presente nella caserma quei giorni dichiarò: «Purtroppo è tutto vero. Anche di più. Ho ancora nel naso l'odore di quelle ore, delle feci, degli arrestati ai quali non veniva permesso di andare in bagno. [...] nella polizia c'è ancora tanto fascismo, c'è la sottocultura di tanti giovani facilmente influenzabili.[...]. Quello accaduto alla scuola e poi continuato qui a Bolzaneto è stata una sospensione dei diritti, un vuoto della Costituzione. Ho provato a parlarne con dei colleghi e loro sai che rispondono: che tanto non dobbiamo avere paura perché siamo coperti».

Il processo:
Si apre il processo per i fatti della caserma Bolzaneto con 54 agenti alla sbarra degli imputati.
Il lavoro dei Pm risulta però molto complesso, sono costretti a costruire un' inchiesta costellata da numerose reticenze che impediscono di fare piena chiarezza su tutti gli accadimenti ed i soggetti coinvolti.
Si legge nella motivazione della sentenza I grado: 
«purtroppo, il limite del presente processo è rappresentato dal fatto che, quantunque ciò sia avvenuto non per incompletezza nell’indagine, che è stata, invece, lunga, laboriosa e attenta da parte dell’ufficio del P.M., ma per difficoltà oggettive (non ultima delle quali, come ha evidenziato la Pubblica Accusa, la scarsa collaborazione delle Forze di Polizia, originata, forse, da un malinteso "spirito di corpo") la maggior parte di coloro che si sono resi direttamente responsabili delle vessazioni risultate provate in dibattimento è rimasta ignoto».
Si fa però chiarezza su quei giorni. Sempre nelle motivazioni della sentenza si legge:
«L’elenco delle condotte criminose poste in essere in danno delle persone arrestate o fermate transitate nella caserma di Bolzaneto nel giorni compresi tra il 20 e il 22 luglio 2001 consente di concludere, senza alcun dubbio, come ci si trovi dinnanzi a comportamenti che rivestono, a pieno titolo, i caratteri del trattamento inumano e degradante» e che gli autori «hanno tradito il giuramento di fedeltà alle leggi della Repubblica Italiana e, segnatamente, a quella che ne costituisce la Grundnorme, la Carta Costituzionale, e in una particolare (e si spera irripetibile) situazione ambientale, hanno, comunque, inferto un vulnus gravissimo, oltre a coloro che ne sono stati vittime, anche alla dignità delle Forze della Polizia di Stato e della Polizia Penitenziaria e alla fiducia della quale detti Corpi devono godere, in virtù della meritoria attività quotidiana svolta dalla stragrande maggioranza dei loro appartenenti, nella comunità dei cittadini».
Il tribunale di Genova condanna 15 agenti (con pene dai 5 mesi ai 5 anni), mentre gli altri vengono assolti.
Si giunge al II grado e nel marzo del 2010 i giudici di appello di Genova emettono 44 condanne.
La maggior parte dei reati sono ormai caduti in prescrizione, facendo scaturire solamente un obbligo di risarcimento danni in capo ai condannati. 
Dei 44 solo 7 imputati vengono colpiti penalmente: un assistente capo della polizia a 3 anni e 2 mesi (colui che divaricò le dita del ragazzo strappandogli i legamenti ), 2 anni e 2 mesi sono stati inflitti ad un medico, mentre tre ispettori e due agenti della polizia sono stati condannati ad un anno. 
Le sentenze certificano che a Bolzaneto tra il 20 ed il 21 luglio si presentarono gravi violazioni dei diritti umani e riconoscono la veridicità dei fatti descritti dai fermati. 
Si è fatta giustizia, solo parzialmente però. In Italia difatti, nonostante la firma ad una risoluzione dell'ONU che la obbliga, non ha introdotto nel suo sistema penale il reato di tortura
Ciò ha costretto l'impianto accusatorio dei Pm a ricorrere ad altre fattispecie penali come il reato di abuso di ufficio, del tutto inadeguate a perseguire le condotte verificatesi quei giorni. 
Nel caso in cui il reato di tortura fosse stato introdotto nel nostro ordinamento si sarebbe potuto evitare l'arrivo della prescrizione e le condanne sarebbero state di tutt'altra entità. 
E fu così che le violenze della caserma scivolarono via quasi come se nulla fosse.



Thomas


P.s.
Link agli altri post sul tema:


++AGGIORNAMENTO++ (7 APRILE 2017)
Nonostante Thomas non sia più dei nostri si torna a scrivere in calce a questo post. 
Ieri si è tornati a parlare dei fatti della Bolzaneto e più precisamente al procedimento instaurato dinnanzi Corte di Strasburgo contro lo stato italiano da 6 delle vittime degli abusi. 
Qui si è svolta una risoluzione pacifica, tra questi ultimi ed il governo italiano il quale ha riconosciuto  i casi di maltrattamenti nonché l'assenza di leggi adeguate impegnandosi ad "adottare tutte le misure necessarie a garantire in futuro il rispetto di quanto stabilito dalla Convenzione europea dei diritti umani, compreso l'obbligo di condurre un'indagine efficace e l'esistenza di sanzioni penali per punire i maltrattamenti e gli atti di tortura". 
Il governo si è inoltre impegnato a riconoscere alle vittime un risarcimento ad ognuno di 45000 euro.

Lo staff de L' Iperione


giovedì 28 luglio 2011

GOODBYE HARRY POTTER

Siamo nel pieno di un'estate anomala in cui domina un clima poco estivo e tendenzialmente piovoso. Ma le vacanze s'hanno da fare e i ritmi del blog, come i più temerari e fedeli di voi avranno notato, procedono a rilento. Fra una pausa e l'altra di sole oggi ho deciso di parlare di un film semi-sconosciuto passato per caso fuori concorso al festival del cinema indipendente di Poirino. Il titolo del film e' "Harry Potter".
La trama e' semplice: in un mondo popolato da maghetti e streghette, un cattivone coi contro cazzi di nome Tu Sai Chi ambisce a dominare il mondo (e ti pareva...). Il basso profilo del mago pelato e senza naso dal nome Voldemort (parlo sempre di Tu Sai Chi) e le modeste ambizioni ricevono consensi fra i maghi più tipacci, o forse no, semplicemente gli stessi sono psicologicamente sudditi del villain e si strizzano al pensiero di subire ritorsioni per via di dissidi ideologici.
Harry Potter è un maghetto speciale: e' scampato da neonato alla maledizione di Voldemort, cicatrice sulla fronte e orfanismo ne sono prova materiale. 
Harry ha due amichetti, Ron ed Hermione (notevole puella). I tre trascorreranno insieme i 7 anni della scuola di magia di Hogwarts fra mille peripezie che sconvolgeranno l'istituto, una sorta di settimana autogestita perpetua con annessa occupazione. 
Nel corso dei film la psicologia dei personaggi crescerà progressivamente e radicalmente, essendo la storia ambientata durante la loro fase adolescenziale, piena di cambiamenti, scoperte e turbamenti. Turbamenti che non riguarderanno se non marginalmente la sfera sessuale, essendo Harry e Ron, specie il primo, in un perenne stato infantile: difatti i due, anziché abusare della giovane Hermione in modo vile e subdolo, trascorrono il tempo a nominare quei vecchiacci dei loro professori, dedicando seghe, mentali e non, al loro pensiero.
Il preside della scuola si chiama Silente, e' omosessuale ed ha una predilezione per Harry il predestinato, con il quale trascorre gran parte del tempo, tanto che il film potrebbe intitolarsi :"Le  notti calde di Harry e Silente". In realta' il giovane maghetto cerca una figura pederasta che, seguendo la tradizione filosofica classica greca, lo porti a una maturazione psico-fisica. 
Da ciò il susseguirsi di varie figure paterne oltre Silente: ricordo Sirius Black, come si intuisce dal nome è uno particolarmente dotato, e Severus Piton, anche qui nomen omen. In assenza dei tre Harry si accontenta della Firebolt, la sua scopa da Quidditch, evidentemente polifunizonale e tanto, tanto cara al maghetto.
In realtà il rapporto più' morboso Harry lo sviluppa con il suo acerrimo nemico Voldy, anche se qui non si va oltre un reciproco e platonico desiderio. La saga gioca tutto su questi rapporti, presentando indici di infantilismo e buonismo da diabete. Si salva ovviamente da ciò il terzo capitolo della serie, diretto da un regista ubriacone e visionario, maledettamente geniale, che risponde al nome di Alfonso Cuaron
Troppo bello per durare, "Il Prigioniero di Azkaban" rappresenta una piacevole eccezione, un film targato Harry Potter in cui realmente i personaggi presentano sfumature psciologiche interessanti, grazie alla lettura del film centrata sul subinconscio. I restanti capitoli, precedenti e successivi al terzo, sono diretti da i vari Columbus, Yates e Newell come fossero filmini della prima comunione o l'ennesima puntata de Il Mondo Di Patty (mi pare si chiami cosi'..).
Si registra un piacevole andamento nella seconda parte dell'ultimo atteso capitolo girato in 3D. Se la prima parte sembrava un interminabile videoclip, in cui climax emotivo era rappresentato dalla morte di Dobbie (no Dobbieeeeeeeeeee!!non e' giusto che muori noooooooooo, la vita e' ingiusta!!eri un mostriciattolo cosi' dolce e servizievoleeee!!), la seconda contiene tutti gli elementi del blockbuster di successo.
Ovviamente bisogna chiudere un occhio sulla banalita' dei risvolti narrativi che, parlando per un attimo seriamente, sono frutto di un condizionamento massiccio dei fanATICI della serie, incapaci di accettare le scelte dell'autrice, schiava della gretta emotivita' della massa.
Finisce cosi' una saga storica, che si svolge in modo oltremodo tradizionale, scritta in modo scolastico, ma che, senza dubbio, ha il pregio di aver creato un mondo fantastico e magico.  Unico avvertimento: non andate in presidenza da Silente!

Bob Harris

GENOVA DIECI ANNI DOPO (PARTE III): L'IRRUZIONE NELLA SCUOLA DIAZ

Agli inquirenti, nel 2007, Michelangelo Fournier, al tempo vice questore aggiunto del Reparto Mobile di Roma, in merito all'irruzione delle forze di polizia nella scuola Diaz, affermò:
«Arrivato al primo piano dell'istituto ho trovato in atto delle colluttazioni. Quattro poliziotti, due con cintura bianca e gli altri in borghese stavano infierendo su manifestanti inermi a terra. Sembrava una macelleria messicana. Sono rimasto terrorizzato e basito quando ho visto a terra una ragazza con la testa rotta in una pozza di sangue. Pensavo addirittura stesse morendo. Fu a quel punto che gridai: 'basta, basta' e cacciai via i poliziotti che la picchiavano. Intorno alla ragazza per terra c'erano dei grumi che sul momento mi sembrarono materia cerebrale. Ho ordinato per radio ai miei uomini di uscire subito dalla scuola e di chiamare le ambulanze ».

Breve cronaca dell'irruzione:
La Diaz è un complesso scolastico che il Comune di Genova concedette, nei giorni del G8, al Genoa Social Forum. per farne la sede del media center del movimento, fungere da dormitorio e rappresentare il primo punto di riferimento per tutti quei manifestanti che non conoscevano Genova.
Il 21 liglio tra le ore 22:00 e le 24:00 avvenne una dura e violenta irruzione da parte dalle forze dell'ordine ( il numero degli agenti che parteciparono all'azione è tutt'ora imprecisato), ufficialmente per una perquisizione volta ad individuare la presenza di membri del temutissimo blocco neroil gruppo di manifestanti che avevano avevano messo a ferro e fuoco la città durante il giorno. 
L'irruzione portò ad un epilogo terribile, decine di persone che erano al suo interno rimasero ferite (tra questi molti giornalisti) e per alcuni di essi si rese necessario l'utilizzo della barella.
Tra i più gravi il giornalista Mark Covell (caduto in coma) che subì la frattura della mano sinistra, la perdita di 16 denti, la perforazione del polmone, un trauma dell' emitorace , e la frattura di 8 costole (per il pestaggio di Covell non è stata possibile l'identificazione degli agenti colpevoli).

Le molotov e l'arresto di massa:
Un'irruzione dura ma giustificata da ritrovamenti eccezionali: numerose sbarre metalliche, magari proprio quelle usate durante il giorno da quei manifestanti violenti che avevano devastato la città di Genova, e sopratutto due bottiglie incendiarie. Tutto il materiale viene raccolto e mostrato ai giornalisti, tutti indizi che giustificano l'arresto senza mandato di molti manifestanti presenti all'interno della Diaz.
Tutto sembrava essere andato quasi per il verso giusto, poi però un'emittente ligure, Primocanale, mostra le sequenze di alcune riprese fatte da una propria troupe ed emergono dei risvolti interessanti: si vede un agente di polizia, prima dell'irruzione, con in mano un sacchetto contente le famose bottiglie incendiarie. Cosa stavano a significare quelle immagini?
I magistrati decidono di interrogare l'agente immortalato dalle telecamere e questi confessa subito: aveva eseguito un ordine proveniente dall'alto, doveva portare due molotov, in realtà sequestrate il giorno prima in tutt'altro luogo, all'interno della Diaz.
Le indagini portarono ad una seconda verità. Le sbarre metalliche erano si state trovate nel plesso scolastico, ma queste erano presenti già prima che la Diaz venisse concessa al Genoa Social forum. Quelle sbarre altro non erano che dei materiali da utilizzare per la ristrutturazione, ancora in corso, di parte della scuola. I manifestanti vennero tutti rilasciati, le accuse mosso contro di loro caddero, ma i dischi rigidi e tutto il materiale che era stato girato dai giornalisti venne, per errore si disse, distrutto.

Il processo:
In questi lunghi dieci anni si è aperto un processo sull'irruzione della Diaz e la Corte di appello di Genoa nel 2010 è giunta a sentenza. Dei 28 imputati, 25 sono stati condannati (per un totale complessivo di 98 anni e 3 mesi di pena), e tra questi configurano membri dei vertici di polizia.
Si legge nella motivazione della sentenza:
« In sostanza, secondo la Corte, non è possibile descrivere i fatti in esame come la somma di singoli episodi delittuosi occasionalmente compiuti dagli operatori indipendentemente l'uno dall'altro in preda allo sfogo di bassi istinti incontrollati; al contrario, trattasi di condotta concorsuale dai singoli agenti tenuta nella consapevolezza che altrettanto avrebbero fatto e stavano facendo i colleghi, coerente con le motivazioni ricevute dai superiori gerarchici e con l’esplicito incarico di usare la forza per compiere lo sfondamento e l’irruzione finalizzati all’arresto di pericolosi soggetti violenti, senza alcuna preventiva o successiva forma di controllo sull’uso di tale forza.
La responsabilità di tale condotta, e quindi delle lesioni inferte, è pertanto ravvisabile in capo ai dirigenti che organizzarono l’operazione e che la condussero sul campo con le modalità e le finalità sopra descritte; [...] trattasi di responsabilità commissiva diretta per condotta concorsuale con quella degli autori materiali delle lesioni, perché scatenare una così rilevante massa di uomini armati incaricandola di sfondare gli accessi e fare irruzione nella scuola con la motivazione che all’interno soggiornavano i pericolosi Black Bloc che i giorni precedenti avevano messo a ferro e fuoco la città di Genova e si erano fatti beffe della Polizia, senza fornire un chiaro e specifico incarico sulla c.d “messa in sicurezza” o alcun limite finalizzato a distinguere le posizioni soggettive, significa avere la certa consapevolezza che tale massa di agenti, come un sol uomo, avrebbe quanto meno aggredito fisicamente ed indistintamente le persone che si trovavano all'interno, come in effetti è accaduto senza alcun segnale di sorpresa o rammarico manifestato da alcuno dei presenti di fronte al'evidenza del massacro». 
Possiamo concludere questo breve post utilizzando ancora una volta le parole della corte:  «In uno stato di diritto non è invero accettabile che proprio coloro che dovrebbero essere i tutori dell'ordine e della legalità pongano in essere azioni lesive di tale entità. » (daldo )






lunedì 18 luglio 2011

GENOVA DIECI ANNI DOPO (PARTE II): CRONACA DELLA CARICA A PIAZZA MANIN

Una carica delle forze dell'ordine durante il g8 di Genova
Mattinata del 20 luglio 2010
Un sit-in tranquillo quello previsto ed autorizzato dalla Questura di Genova a piazza Manin.
A comporre quella piazza realtà pacifiste del mondo laico e cattolico come Legambiente e la rete Lilliput, struttura sindacale che ha tra i principali esponenti il sacerdote Alex Zanotelli. Ci sono poi tanti volti noti come Don Gallo e Franca Rame
A Genova si temono scontri è vero, ma non qui.
Piazza Manin è oramai piena, i partecipanti sono diventati migliaia. Gli organizzatori decidono di muoversi: l'obiettivo è scendere per via Ansarotti, percorrere 600 metri e fermarsi a Piazza Corvetto; qui inizia la zona rossa, la parte della città interdetta ai manifestanti protetta da barriere metalliche.
A piazza Corvetto c'è una breve trattativa con le forze dell'ordine: la richiesta è di poter appendere striscioni e cartelli di protesta sulle reti metalliche. I dirigenti di piazza l'accolgono.

Ore 14:30
A piazza Corvetto arrivano brutte notizie. 
Alcuni incappucciati hanno lanciato delle molotov sul carcere di Marassi. C'è di più, si stanno dirigendo verso di loro. L'unica cosa da fare è allontanarsi da piazza Corvetto e tornare a piazza Manin. Sono le 15.00 e la coda del corteo vede apparire il tanto temuto blocco nero. Si crea un cordone di sicurezza e si respinge la loro avanzata.
Inizia il caos. 
Mentre il blocco nero fugge via, giungono le forze dell'ordine. Nonostante che il pericolo sia finito, questi fanno partire delle cariche e lanciano numerosi lacrimogeni. I black block in tutto ciò continua ad allontanarsi in tutta tranquillità, senza trovare particolari ostacoli, avendo anche tempo e spazio per rovesciare ed incendiare le auto in sosta. 
Dopo il danno la beffa. 
Oltre ai numerosi feriti, due manifestanti spagnoli vengono arrestati; l'accusa è di quelle pesanti: lancio di due bombe molotov e aggressione ad alcuni poliziotti con un tubo metallico. Dai filmati si certificherà la loro completa estraneità ai fatti; i due agenti che li arrestarono saranno condannati per falso ideologico in atti pubblici.
Thomas 







domenica 17 luglio 2011

GENOVA DIECI ANNI DOPO (PARTE I): "BELLA CIAO, GENOA SOCIAL FORUM-UN ALTRO MONDO E' POSSIBILE"


Io e Bob torniamo a casa, ebbri e carichi di alcol.
Si ferma da me qualche giorno prima di andarsene nel suo bucolico meridione.
Questa sera troppe facce, troppi saluti, troppi brindisi.
Accendiamo la tv alla ricerca di qualche film da vedere.
Mettiamo Rai 4, che di notte spesso spaccia qualcosa di interessante, e sta iniziando qualcosa proprio ora. Le prime immagini sono dedicate al fatto più drammatico, la morte di Carlo Giuliani; poi è il tempo del bliz alla scuola Diaz, il media center dei convulsi giorni del G8 di Genova. Ed a ritroso si torna sulle manifestazioni, sulle cariche, sugli scontri di piazza che hanno preceduto ogni evento.
Assistiamo ammutoliti a "Bella Ciao-Genoa social forum-Un altro mondo è possibile", documentario diretto da Marco Giusti, Roberto Torelli e Sal Mineo, pseudonimo dietro il quale si nasconde Carlo Freccero, nel 2001 direttore del TG2.
"Bella Ciao" nasce per la tv, un docu-film con cui mostrare il fallimento di una proposta internazionale, ridottasi in una mera questione di polizia prima e di processi complicati poi. La rete era già stata decisa, Rai 3. Poi però in televisione non ci arriva mai. Il tema trattato era forse ancora  troppocaldo, oppure qualcuno in alto deve aver pensato che fosse un lavoro troppo schierato politicamente. Fatto sta che verrà presentato fuori concorso a Cannes nel 2003, rimanendo inedito per la tv nazionale per una decina d'anni.
La sua visione è durissima, un mosaico composto da materiali girati sul campo da giornalisti Rai ed indipendenti, completamente privi di commenti se si esclude la scelta di alcuni brani musicali, un format alla Blob che lascia spazio alle violenze sui corpi inermi.
"Bella Ciao" restituisce una piccola verità e lo fa senza mai essere didascalico. Ci riporta nelle vie assolate di Genova, facendoci percepire gli errori nella gestione dell'ordine pubblico da parte delle F.d.O.; da un lato il blocco nero libero di agire indisturbato; dall'altro le cariche ingiustificate a cortei autorizzati.
Si rimane allibiti dinnanzi ad una bolla che non può essere propria di un paese democratico
E su questa bolla porremo le nostre attenzioni.

S.v.
Thomas 

P.s.
Link agli altri post sul tema:
Genova dieci anni dopo:cronaca della carica di piazza Manin (Parte II)
Genova dieci anni dopo: l'irruzione nella scuola Diaz (Parte III)
Genova dieci anni dopo: la caserma Bolzaneto ( Parte IV)
Di seguito alcune riprese della troupe del TG1 utilizzate nel documentario:




sabato 9 luglio 2011

IDI AMIN: "L'ULTIMO RE DI SCOZIA"


Un gigante di due metri, nero e dal viso bonaccione si presenta alla corte della regina Elisabetta di Inghilterra: in mano ha un casco di banane e, porgendolo simbolicamente, afferma che servirà a sfamare il popolo inglese, all'epoca (siamo negli anni 70') in piena crisi economica e lavorativa. 
Il gigante si chiama Idi Amin ed è il presidente dell'Uganda
Questo aneddoto rende perfettamente l'idea di che tipo di persona possa essere. 
Una figura carismatica, possente e prepotente. 
E' incredibile come pochi giovani conoscano una delle figure più controverse ed efferate del ventesimo secolo. A conti fatti Idi Amin ha rappresentato, seppur in proporzione minore, quello che rappresentarono Hitler e Stalin per Germania e Russia, o se preferite Saddam Hussein, Batista, Pinochet, Videla, Barrientos e compagnia bella. Un dittatore, un despota, ma, soprattutto, un bambino capriccioso e arrogante. Bambino di spietatezza disumana e brutalità spaventosa.
Personaggio misterioso, di lui si hanno fin troppe informazioni contraddittorie a partire dalla data e luogo di nascita: 1924 o 1925, chi lo sa, per il dove forse a Kampala. La sua grossa statura fisica unita al suo peso lo predispongono fin da piccolo a una carriera da peso massimo di pugilato, divenendo campione Ugandese dal 51 al 60. 
Dopo lavoretti saltuari, si arruolò nell'esercito britannico, divenne soldato della King's African Rifles, corpo militare dei possedimenti coloniali britannici e arrivò al grado di effendi, ufficiale di sicurezza, il più alto grado conferibile ad un africano. 
Lui dichiarò di aver preso parte alla seconda guerra mondiale, cosa assai improbabile e, da più parti, smentita. Niente di strano, la complessa personalità di Amin comprendeva la berlusconiana caratteristica di sparare stupidaggini e spacciarle per verità. Mentire era nelle sue corde, come quando affermava che le ragazze che entravano nella sua tenda e con le quali veniva sorpreso dai commilitoni erano sue Dada, cioè sorelle, in ugandese: da qui il soprannome che porterà sempre con sé affiancato al suo nome, Idi Amin Dada. 
Tornato in Uganda diviene sottotenente e, in quegli anni (siamo tra il '61 ed il '62), beneficia dell'indipendenza ugandese e del regime instaurato da Obote, scalando ulteriori posizioni nell'esercito (da capitano a generale, fino a comandante dell'esercito). 
Amin era uomo di fiducia di Obote. Con lui si diede al redditizio contrabbando di oro, caffè ed avorio. Capirete, quindi, che, fin dagli inizi, l'animo del giovane gigante era facilmente corruttibile e concupiscente. 
L'idillio fra i due era però destinato a rompersi: Amin era ambizioso e puntava a scalzare Obote dal trono: iniziò a reclutare membri delle etnie Nubiane, per comporre un suo esercito personale. E' evidente il suo intento di preparare il classico colpo di stato militare, tanto in voga presso regimi fragili e instabili  dell'Africa. L'occasione fu la notizia, appresa da Idi, dell'intenzione di Obote di farlo arrestare per essersi appropriato di stanziamenti di armi.
Giunse così il golpe ed il 25 gennaio 1971 sale al potere. Col senno di poi le reazioni entusiastiche dei governi occidentali  (Gran Bretagna, Stati Uniti ed Isreale in primis) che ne seguirono, oggi hanno l'amaro sapore della beffa. 
Amin avrebbe egregiamente dimostrato di essere ben diverso da quel buon giocatore di calcio descritto dal Foreign Office britannico. Diciamo che, più che altro, a calcio ci giocava con le teste degli oppositori politici. Teste che non scarseggiavano di certo, essendo operative, e sotto il suo strettissimo comando, le Squadre Della Morte, un gruppetto ben selezionato con il compito di scovare, torturare e annientare oppositori politici e intellettuali dissidenti. Amin ebbe a dire a riguardo: «I miei nemici? Li faccio a pezzi e li do in pasto ai coccodrilli e i loro peni li attacco alla cintura »
In mezzo a tutto ciò vennero compiuti i peggiori crimini: genocidi, persecuzioni razziali (nei confronti dei gruppi etnici degli Acholi, Lango e Indiani, per citarne alcuni) e religiose, donne e bambini compresi. 
Tant'è che, come dichiarò Henry Kiemba (a lungo ministro della sanità del Paese) nel suo libro A State Of Blood, ormai Amin non si preoccupava neanche di far seppellire i cadaveri delle persone uccise; li lasciava ai coccodrilli, i quali, udite udite, affermava di controllare con il pensiero: non può non starvi simpatico un personaggio così, con quel bel faccione paffuto. 
Era un colorito folle omicida, un tantino megalomane. 
Fatto sta che l' International Commission Of Jurists ha documentato oltre 800 mila uccisioni. 
Niente male. Si dice che fece uccidere persino uno dei suoi innumerevoli figli (era poligamo) ed è certo che fece uccidere una delle sue mogli, colpevole di averlo tradito; il come è terribile: la fece a pezzi, la ricucì (scena presente nel film "L'ultimo Re Di Scozia" anche se in parte falsa; nella pellicola, per dare un impatto visivo più sconvolgente, gambe e braccia vengono ricuciti invertiti), e fatta trovare nel bagagliaio di un auto.
Molti sostengono fosse cannibale
C'è un episodio che viene ritenuto abbastanza credibile: durante una riunione del consiglio dei ministri ugandese, il ministro del bilancio tentava di spiegare a Sua Eccellenza le difficoltà a far quadrare i conti. Amin sosteneva che era solo una questione di numeri, mentre il ministro ribatteva che la finanza era qualcosa di diverso fatto fa variabili complesse. 
Al termine della discussione, Amin chiamò il suo ex professore di matematica, lo uccise e gli mangiò il cervello. Ora finalmente avrebbe compreso il bilancio. 
E tutti quelli che non consumava sul momento, leggenda vuole, se li pappava con calma dopo averli conservati in frigorifero. Insomma, Hannibal Lecter al confronto sembra uno naif e ingenuo rispetto al sadismo brutale di Big Daddy (si, si faceva chiamare proprio così). 
Le stravaganze di Idi, se così vogliamo chiamarle, vennero accolte con ironia ed ilarità dall'opinione britannica ed occidentale in generale. Veniva dipinto come un buffone narcisista. Ci si fermava alle innumerevoli medaglie che ostentava sulla sua camicia ed ai numerosi titoli che si autoconferì: "Sua Eccellenza il Presidente a vita, Feldmaresciallo Al Hadji Dottor Idi Amin, VC, DSO, MC, Signore di Tutte le Bestie della Terra e dei Pesci del Mare e Conquistatore dell'Impero britannico, in Africa in Generale e in Uganda in Particolare". Ci si limitava a rappresentarlo come un grosso omone animalesco, fatto che lo connotava come personaggio comico ed eccentrico. 
Ma dopo le confessioni del ministro della sanità, i pochi che continuavano a vederlo in questo modo, ebbero ben poco da riderci su. 
L'espulsione degli asiatici presenti in territorio ugandese fu il nuovo botto che scandalizzò l'opinione pubblica mondiale. Le relazioni con l'occidente si fecero tese. La scelta ebbe anche ricadute disastrose sull'economia: i 50 mila asiatici espulsi si occupavano di piccole e medie imprese ugandesi.
Ma che ci volete fare? 
Ad Amin lo aveva detto Allah di cacciarli. 
Eppoi secondo lui gli asiatici ciucciavano latte dalla mammella della vacca Uganda senza apporre contributo al suo benessere economico. 
L'arroganza e supponenza di Amin lo spinsero a caricare a testa bassa un po' dappertutto. Big Daddy attaccò il Kenya rivendicandone parte dei territori e fu persuaso a desistere dal suo proposito solo dopo aver constatato che, lungo il confine keniota, erano stata disposte ingenti truppe e mezzi corazzati. 
Non pago troncò i rapporti con Israele, sostenendo apertamente l'OLP palestinese. Riguardo ad Israele disse: «Hitler ha fatto bene ad uccidere sei milioni di ebrei». 
L'allontanamento di Israele fu seguito da una politica di avvicinamento alla Libia ed all'URSS. Seguì il conseguenziale gelo con Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia. 
La rottura con la Gran Bretagna portarono Amin ad autoconferirsi un altro titolo: si autoproclamò ultimo Re di ScoziaPerché mai, ci si può chiedere. 
Bene, come soldato coloniale, Idi era stato agli ordini di ufficiali scozzesi, maturando nel tempo una forte simpatia per il popolo e la cultura scot. Spiegazione più semplice non si può trovare.
Ed ecco parate militari e manifestazioni ufficiali in kilt e cornamusa, un mondo straniante ed imbarazzante se associato ad un paese africano. Sicuramente però per il dittatore ugandese era l'ennesima occasione di ostentazione e appariscenza, poteva rimanere al centro della scena.
Il tracollo era però vicino. 
E' quasi unanime che l'avvenimento centrale per la caduta del suo regime fu il dirottamento di un volo Air France; siamo nel 1976 ed a bordo c'erano una cinquantina di delegati israeliani. 
A una prima fase di negoziazioni fallimentari, in cui fu proposto di rilasciare solo gli ostaggi non israeliani, seguì una seconda in cui vi fu l'intervento delle truppe di Israele (gente d'azione, molto più a loro agio con in mano un fucile che con una Bibbia) che portò alla liberazione degli ostaggi, salvo qualche trascurabile perdita umana. La classica goccia che fece traboccare il vaso fu il tentativo di Idi di invadere la Tanzania. Da qui la sua deposizione. L'esercito tanzaniano, assieme ad alcuni ribelli ugandesi lì rifugiatisi, prese Kampala, la capitale dell'Uganda. Le perdite per la Tanzania furono di un carro armato. Non un carro armato vero eh...probabilmente solo un modellino appartenente al figlio di qualche soldato.
Amin fuggì e trovò rifugio in Arabia Saudita, vivendo grazie ad uno stipendio governativo gentilmente concesso e senza farsi un giorno di carcere per i crimini commessi; qui vi morì nel 2003 per grave complicazione da insufficienza renale.
Ah, dimenticavo. 
Tentò di tornare in Uganda nel 1989 e riprendersi il trono, ma fu fermato in Zaire e convinto dal presidente Mobutu a fare dietro front. Così trascorse gli ultimi anni di vita in esilio a guardare film della Disney, che tanto gli piacevano, e a sognare la sua morte, che lui più volte aveva annunciato essergli apparsa in una delle sue fantasiose visioni, probabilmente dovute (si ipotizza) a neurosifilide
l regno di Idi Amin Dada fu caratterizzato dalla violenza più selvaggia, dalla furia e dalla prevaricazione sul più debole; a farne le spese furono centinaia di migliaia di innocenti. 
Nonostante ciò, è incredibile constatare come ancora molte persone vedano Amin come il messia dell'Uganda se non dell'Africa intera. Sarebbe troppo facile insistere col dire che sono degli sciocchi e che lui era solo un folle maniaco. In realtà il progetto di Amin di un'Africa libera dal potere occidentale era un proposito giusto e ammirevole. E di fronte all'Apartheid ed al colonialismo non poteva che suscitare entusiasmo tra la popolazione; a suo modo poteva rappresentare quell'Africa che osava sfidare apertamente le grandi potenze occidentali e gli invasori (seppur, a conti fatti, ciò è accaduto solo su un piano meramente dialettico). A ciò si aggiunge il raggiungimento di un benessere inconsueto per una parte di un continente in perenne crisi politica ed economica. I mezzi utilizzati furono però spaventosi.
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Nel 2006, tre anni dopo la morte di Idi Amin Dada, è uscito il film ispirato alla sua vita: "L'ultimo Re Di Scozia" diretto da Kevin Macdonald. 
Il film, che ha come protagonista il medico personale del dittatore (personaggio di fantasia interpretato da James McAvoy), segue le vicende che vanno dall'instaurazione del governo di Amin fino alla presa degli ostaggi del volo Air France. 
Essendo protagonista un personaggio mai esistito, necessariamente parte degli episodi narrati sono inventati, anche se, spesso sono il frutto di un collage di eventi reali (un esempio è l'episodio della moglie di Amin). E non è un caso che la scelta di dirigere il film sia caduta su un esperto regista di documentariPerciò, anche se romanzato, il film è uno strumento eccezionale per comprendere di più la personalità di Idi. 
Il cast è fondamentale nella resa finale: McAvoy non è semplicemente bello, è bravo ed il suo futuro da attore di livello mondiale sembra assicurato. Ed ottime sono le prove del resto del cast. 
Discorso a parte per Forest Whitaker (nelle vesti di Amin). A riguardo vi dico solo che "L'ultimo Re di Scozia" ha vinto tutto grazie alla sua interpretazione: Oscar, BAFTA e Golden GlobeE pensare che all'inizio non era stato preso in considerazione per la parte, essendo considerato un attore bonaccione e intellettuale. Il provino per la parte però smentì tutti, in primis il regista, fra i più scettici. 
Whitaker restituisce perfettamente l'immagine di un uomo dall'aria buona e giocherellona, come Idi era, eppure tirannico e feroce. Entrambi, l'attore e il personaggio storico, hanno un viso paffuto e bonaccione, seppur con una diversa sfumatura: quella di Amin era uno sguardo truce, Whitaker riesce ad aggiunge un velo di perversione infantile
Un pezzo di storia dell'umanità è stato scritto col sangue: "L'Ultimo Re di Scozia" ce lo ricorda egregiamente, aiutandoci a comprendere le possibili dinamiche che il potere può innescare.

Habemus Judicium:
Bob Harris