lunedì 11 gennaio 2016

SNIPER, UN CECCHINO SENZA STRANIAMENTO

Il film è realistico, la ricostruzione meticolosa. L'immedesimazione con i personaggi e soprattutto con i loro sentimenti è totale.
Ora io non amo i tentativi di perfetto realismo e di immedesimazione totale degli attori; tuttavia ho apprezzato quest'opera.
Il realismo è genuino e al servizio di una rappresentazione della guerra brutale e senza sconti; l'immedesimazione con i caratteri è lancinante, dolorosa, utile per scuoterci fino in fondo e portarci ad una commozione per nulla gratuita.
L'ossessione per una 'missione' inutile, la tragedia di una battaglia che scortica i rapporti umani più belli, più caldi, e moltiplica odio ansia e terrore proprio presso e verso chi si ama di più.
Questi gli aspetti che viviamo passo passo seguendo una trama di costante tensione.

Il realismo forse serve per amplificare l'effetto del messaggio e farci sentire ancora più impotenti di fronte allo spettacolo desolante.

Nulla interrompe ricordandoci che si tratta di una finzione, e solo dentro di noi qualcosa vorrebbe agire, strappare la cortina di questa fantasmagoria di morte e urlare ai personaggi che altro è  possibile, che un altro vivere è alla nostra portata.

Ma probabilmente nemmeno noi spettatori onniscienti ne siamo più convinti

     Vargas Snaporidis

giovedì 7 gennaio 2016

STAR WAS: LA NON-RECENSIONE DE "IL RISVEGLIO DELLA FORZA"


Quella che mi accingo a scrivere è una non-recensione. Nel senso che per poter giudicare un qualcosa bisogna valutare ogni aspetto di essa. Nel caso di un film, se proprio non diciamo che va rivisto, quantomeno è necessario arrivare ai titoli di coda. Cosa che non ho fatto nel caso di questo "Star Wars- Il Risveglio Della Forza".
Intendiamoci. Non sono tipo da lasciare un film a metà, specie dopo aver contribuito a finanziare una catena di multisale pagando regolarmente il biglietto. Perciò mi sento un po' in colpa a dire la mia sulla settima puntata di Guerre Stellari. E, ad essere onesti, per quanto io non possa negare il rapporto di causa/effetto tra uscire in anticipo dalla sala e perdere metà film non posso nascondere che la cosa è avvenuta in modo più o meno casuale. Ero a fine primo tempo, 5 minuti di pausa prima del secondo. Avevo necessità di una boccata d'aria ed esco dalla sala, passando per un' uscita d'emergenza. Giusto il tempo che si richiuda dietro di me e realizzo che, da lì, non sarei potuto rientrare. Il problema è che, vista la tarda ora (ringraziamo questa nota catena di multisale per farci fare tardi al cinema anche se vi si entri alle 9 di sera; quando la pubblicità dura come il film è inevitabile) tutto il complesso era stato chiuso.
Risultato: ciao ciao Chewbecca.
In realtà non ho vissuto così male il pensiero di non aver completato il film.
E' qui che parte la mia non- recensione. Di quello che ho visto. E quello che ho visto mi è bastato per farmi una certa idea.
Il film è noioso.
Montaggio, regia e recitazione vanno bene.
Fotografia stupenda.
Scenografie manco a dirlo.
Bella la scelta di partire dal nuovo, avvicinandosi piano piano al mito, come un regalo che viene spacchettato poco a poco. Tu sai cosa potrebbe esserci dentro, ma l'idea di veder materializzarsi piano piano ciò che si desidera, celato da una carta da regalo, ci entusiasma. Ed i fan di "Star Wars" sono come bambini di fronte al loro regalo di natale così a lungo atteso.
Ma perché tanta attesa? Forse perché non si considera finito il ciclo di un appassionante racconto epico come quello di Lucas? Il fanatico, per definizione, non riesce ad avere un distacco tale da permettergli di valutare lucidamente il suo feticcio. Ma è il film stesso a far capire che non c'è più niente da dire che non è stato detto; a raccontare storie che non siano state raccontate e situazioni che non siano state messe in scena.
Davvero volevate rivedere Han Solo? Ma Han Solo era figo proprio perché era un baldo giovane, incosciente e arrogante. Rappresentava perfettamente la componente avventurosa del film. Ne era l'emblema. Giovane e spericolato. Vedere Harrison Ford a 70 anni e passa, vestito come il suo personaggio, che si muove, spara, corre, scherza e si atteggia come Han Solo significa vedere una parodia di sé stessi. Classico esempio dell'espressione c'è un età per tutto.
I protagonisti non posso valutarli, visti poco. Anonimi in questo film.
Di Luke, Han, Obi e Leila però, va detto, non avevi bisogno di due trilogie per appassionarti.
Ti colpivano subito, creavano mistero e curiosità.
Il cattivone? Si chiama Kylo Ren, no? Massì ho criticato anche io, ridendo sonoramente, la scena della sua crisi di nervi e, in generale, la sua mancanza di carisma. Ma qui spezzo una lancia a favore degli sceneggiatori. Si è voluto differenziarsi dai riuscitissimi villains della saga. Fare un calco di Darth Vader non sarebbe stato saggio. Si vuole presentare un cattivo work in progress. Però non ho tanta fiducia nel fatto che possa reggere il peso di un personaggio che ha decretato il vero successo della saga.
Le situazioni del film sono delle palesi riprese di quelle vecchie. E da quanto ho letto si ritira fuori di nuovo la storia della Morte Nera. Si so anche il colpo di scena. Ed è un bene per tutti, diciamolo.
Forse è anche inutile discutere di aspetti vari. Di quanto non funzioni la storia, di quanto siano anonimi i nuovi personaggi e impietosamente sbiaditi quelli vecchi. Forse basterebbe solo una parola per descrivere tutto: Disney. Ma non è il buonismo tipicamente disneyano o la mancanza di scene scomode che porta la mamma di topolino a rovinare questa saga. E' il concetto di marketing. George Lucas fu il primo a intuire le potenzialità della saga e a lanciare un franchise del genere su un film. Ma amava la sua creatura e, a conti fatti, l'ha rispettata, fermandosi giusto un po' oltre il necessario con la realizzazione della seconda trilogia. Ma aveva quantomeno ancora qualcosa da raccontarci. Con questo "Risveglio Della Forza" si vuole solo ed esclusivamente lucrare, rilanciando ulteriormente un marchio, pompato e spinto verso una galassia lontana lontana.

Habemus Judicium:


Bob Harris

sabato 2 gennaio 2016

PARERGA E PARALIPOMENA ON LADY GAGA

 Esattamente due anni fa, con 'Poker Face' e 'Bad Romance' a tutto volume nelle cuffie, scrivevo in due notti quattro racconti sul fallimento di una personalità latamente 'romantica', accademica e stantia. Il perché lo ignoro tuttora.
 S'intenda, avevo sempre avuto i miei peccati di 'pop' e 'trash' eccetera. E conoscevo già le 2 tracce e i videoclip, come qualsiasi individuo di allora non chiuso in monastero. Ma quando le ho fatte partire quella volta sapevo cosa cercavo.

 E in un baleno ho capito quasi tutto ciò che di lei lei aveva voluto far capire allora.

 Una ragazzina che suonava Beethoven a livello di concerto; la frustrazione di un'adolescente newyorkese nata nei tardi '80; il riscatto, l'amplificazione, la 'vendetta', l'immediato 'metasuccesso' autorappresentato. Poi ho spulciato una partecipazione al Taratatà, uno show parigino, un paio di duetti con Elton John, e una mezza intervista. E lì ho visto.
 L'ironia e autoironia nei suoi occhi supertruccati; la passione istrionica e complice col pubblico; l'assoluto talento nel tenere la scena; le lacrime, vere son convinto, la commozione, la passione.

 Insomma, da megalomane che critica i grattacieli ma ama il Burij Dubai perché è colossale e basta, mi ero già accostato al 'fenomeno', un po' da antropologo, un po' da frustrato invidioso di quel gran sculettare che lì si faceva. Ma quella notte fu diverso.
 Capivo in un sol colpo e la donna e l'artista e il fenomeno pop in assoluto. Con la sua follia e contraddizione planetaria e allucinata.
 Ma lei era ed è lucidissima. Vera guitta e vera musicista. Vera performer. Infatti si è scalzata da quel ruolo indossato per 'revenge' su tutto e tutti, danzando verso altri lidi.

 Potremmo dire che lei e il suo staff di allora, in qualche modo, hanno fatto col Pop ciò che Beethoven ha fatto con la tonalità e la forma sonata, ma forse è dire troppo e troppo presto (e troppo da innamorati soprattutto). E poi i nuovi adolescenti avranno presto bisogno di un'altra Gaga; non possono certo adorare in quel modo banal-messianico una che suona Bach, canta Jazz e recita a Hollywood la parte della squilibrata. Oramai lei è passata 'dall'altra parte' del baraccone.

Così, quella ragazzina della East Coast la sua redenzione l'ha avuta. Io (se Manito vuole) pure. (Perché, lo capite da voi, la personalità stantio-romantica era la mia). Il pianeta non ancora.

 Cosa resta? A lei la consapevolezza che Bach è Bach, Brecht è Brecht e il postmoderno è quello che è; a me un paio di CD in più nel cassettino della macchina, vicino a Mozart. Noi continuiamo a cantare ed elaborare. E altri si occuperanno di intrattenere quegli adolescenti che non hanno voglia di studiare Chopin.

        'This time I'm not leaving with-out U'

Vargas Snaporidis

WOODY ALLEN. IL GRANDE OROLOGIAIO

 Non è un thriller. Ma potrebbe. Non è una storia di amori e tradimenti. Ma potrebbe. Non è una tragedia. Ma spesso fa accapponare la pelle e, forse, inumidire gli occhi. Non è una commedia, ma chi è abituato ad usare la testa e ha visto molti film in più punti potrebbe sbellicarsi.
Ma il ritmo è serratissimo. Non c'è il tempo materiale per sostare in uno qualsiasi di questi stati d'animo. Di conseguenza non c'è ragione per etichettare il film in una di quelle categorie.
Questa è un'Opera Matura di un genio.

Tratti tipici in comune con le 'opere ultime' dei maestri.
Pesantezza leggera
Il mastodontico e maestoso in una piuma
Il superconcetto mascherato fino a sparire
Iper-pensiero combinato con iper-senso

Il solito congegno a orologeria tipico degli autori che hanno sviscerato Totalmente il senso più profondo del DRAMMA.

 Inesorabilità delle parabole individuali e collettive, nonché del piano generale, innescabile solo da quegli autori che pretendono, dopo una vita di scavo e studio, di conoscere le dinamiche dell'animo umano in modo talmente cristallino da gestirle poi, in scena, alla stregua di una Matematica.

 La tensione tipica di un pensiero poderoso, quale certamente è quello di Allen, verso una riduzione iperrazionale e iperdeterministica delle vicissitudini emotive dei personaggi, si scontra ferocemente con l'osservazione empirica delle vite degli altri, che (sempre in tali autori) rimane vivissima e costante fino alla vecchiaia.
 E' proprio questa battaglia tra analisi e riduzione iper-razionale fino all'annullamento nella pura logica meccanica da un lato e furia iper-emotiva e autocosciente dei caratteri, irriducibili a qualchessia matematica in quanto uomini, dall'altro a generare i capolavori drammatici più alti di ogni epoca. E probabilmente Irrational Man è giusto che lo si collochi per lo meno accanto a questi ultimi.

 Le impressioni di chi scrive, d'altra parte, sono ancora troppo fresche; come troppo caldo è il trasporto individuale verso questo regista. Temo che per catalogare Irrational Man al fianco di Arancia Meccanica, Il Grande Dittatore o l'Amleto serviranno ancora molti anni. E soprattutto molte altre parole in più e più importanti che non quelle di un semplice blogger, per giunta musicista, e cinefilo solo per caso.

Vargas Snaporidis