lunedì 9 aprile 2012

UN FRAMMENTO NOIR: PARTE III

Hype era tutto un tormento. Il suo animo profondamente ribelle, anticonformista, estremo e un pizzico folle si stava scontrando dolorosamente con la sua razionalità affinata dall'esperienza. Tutto ciò ovviamente non poteva essere dovuto a stimoli ricevuti dalla sua vita quotidiana, bensì da un evento straordinario, pur nella sua ordinarietà. Un rapporto speciale, questo soltanto poteva sconvolgere e rimescolare le prospettive e i pensieri di Hype. Poteva essere un'amicizia inaspettata, così come una fatale attrazione. Ma si sa che le ferite dell'animo di Hype in questo momento chiudevano ogni spazio a un sentimento razionale e lo facevano navigare nella diffidenza più acuta. Fu per questo che Hype si illuse di respingere l'ingresso di qualsiasi tipo di rapporto intimo, specie sentimentale. Ma non aveva fatto i conti con il freddo e ripetitivo meccanismo delle coincidenze, che si apprestavano a predisporre e ad apparecchiare avvenimenti e situazioni che avevano portato Hype in quello stato. La legge dell'attrazione era cosa ben accettata e se vogliamo anche discretamente gestita da Hype. L'esperienza lo aveva portato a godere dei rapporti fugaci, senza pretesa alcuna. Egli aveva ormai imparato a conoscersi, a conoscere i suoi desideri e le sue volontà. La sua condizione, tuttavia, unita ad un certo pessimismo, lo avevano portato a farsi una ragione dello stato di cose. attorno a sé vedeva la felicità, più o meno scadente, più o meno reale. Sapeva benissimo che la maggior parte della gente la simula e la ricerca spesso laddove non ve n'è. Quello che turbava Hype era non aver mai potuto provarla veramente. Nonostante ciò non perdeva mai tempo su questa riflessione, per via del fatto di non essere per natura incline a deprimersi, ma sempre alla ricerca di attimi di vitalità. Hype si era costruito un sistema scientifico di gestione dei sentimenti esterni, specie con le donne. Ed effettivamente dava lui soddisfazione enorme il vedere che aveva un discreto controllo nei rapporti. Fu forse per questo che quando la conobbe non ebbe reazioni particolari. Si chiamava Teia. Era cordiale, gentile, educata, disponibile ma anche schietta, vanitosa, vendicativa e subdola. Amava nutrirsi delle attenzioni altrui, sadica nella sua finta innocenza e manipolatrice. Curata in ogni aspetto, femminile ed elegante sapeva sfruttarsi fino al massimo delle sue potenzialità. Hype percepì da subito la sua natura dal suo sguardo furbo e machiavellico. Si mise alla prova nel  tentativo di ripagarla della sua stessa moneta,  pur consapevole del fatto che ella doveva i suoi servigi e la sua fedeltà ad altro uomo. Mai in fondo egli cosa voleva da lei?Illuderla?Umiliarla?Unirsi a lei per poi ripudiarla? Forse anche solo una di queste cose. Capitò così che Hype credette di aver smascherato il mostro, di aver intrappolato la vipera. La cosa finì lì. Hype non si curò più di lei. Il destino volle però che, in seguito, ella tornò nel suo mondo. Hype non si preoccupò di ciò. Era pur sempre un'occasione di sfoggio del suo ego e della sua vanità. Egli godeva nel prevaricarla e sminuirla continuamente. Ma poi accadde. Accadde che, ad un certo punto, entrambi videro negli occhi dell'altro se stessi. Accadde che realizzarono, finalmente in modo pieno e conscio, che si erano sempre conosciuti. Fu così che una regia occulta formulò un incantesimo per cui presero il sopravvento oscure alchimie e profonda empatia. Si capivano come un fratello e una sorella gemelli, ma si desideravano come i più sfrenati degli amanti.Anche se ne avevano sentito parlare, anche da illustri filosofi e pensatori, non ci potevano credere. Non loro. Al pensiero di quelle due parole rabbrividivano.

Bob Harris

sabato 17 marzo 2012

LA VERITA'? DANIEL RADCLIFFE NUN PO RECITA'

E' sempre successo e sempre succederà. E' inevitabile. Quando si interpreta per molto tempo un personaggio è difficile liberarsi di esso. Il pubblico (se non proprio registi e produttori) tenderanno il più possibile a identificarti con tale figura. E' un fenomeno quasi accostabile alla tossicodipendenza. Pochi ne escono, sempre rafforzati, molti ne soccombono.
Dapprima si è felici, al settimo cielo, sapendo di essere l'incarnazione di un' icona, cosa che tra l'altro assicura la possibilità di lavorare stabilmente e per un tempo duraturo. Piano piano, però, l'essere un'icona cinematografica vivente non è più un piacere, diventa un fardello. Purtroppo, un fardello da cui si dipende, a cui si deve la propria fortuna, ma anche una prigione dorata alla quale si è condannati.
A molti attori è successo questo. Mi viene in mente su tutti il Robert Englund di "Nightmare", talmente in simbiosi col suo personaggio che diventa difficile non identificare l'uno con l'altro (e su questa identità ci gioca egli stesso nell'ultimo, scadente, film della serie originale). Per restare in tempi più recenti identica sorte è toccata a Tobin Bell di "Saw".
Forse però, si dirà, nei film horror è più facile rimanere intrappolati nel personaggio che si interpreta. Vero, senz'altro. Ma, per vari motivi, in altri generi, attori promettenti sono ancora ricordati solo per il personaggio che ha fatto la loro fortuna e fama: su tutti come non citare Mark Hamill (il Luke Skywalker di "Star Wars"), Steve Guttenberg (il Carey Mahoney di "Scuola di Polizia") o Malcolm Mcdowell (l'Alex Delarge di "Arancia Meccanica").
Sembrerebbe destinato a tale fine anche l'attore britannico interprete del maghetto più famoso del mondo: Daniel Radcliffe alias Harry Potter. Ho sempre pensato che la somiglianza di Radcliffe con il personaggio letterario frutto dell'immaginazione della Rowling fosse l'unico motivo per cui fosse stato scelto per interpretarlo. Poi, che volete, di sicuro sceneggiatura e regie varie non hanno aiutato ad esaltare le doti attoriali di Daniel, apparso sempre e comunque una spanna al di sotto dei suoi colleghi Emma Watson e Ruper Grint.
Nonostante ciò ho fatto il tifo per lui, sapendo dell'uscita del film horror "The Woman in Black" tratto dal racconto di Susan Hill.
Dai, Daniel ,dimostraci cosa sai fare! Tu non sei solo Harry Potter! Sei Daniel Radcliffe!!!
Pensavo che peggio di Alberto Tomba e Costantino Vitagliano non si potesse recitare. 
Radcliffe pare che sia riuscito a ridefinire il concetto di interpretazione scandalosa.
Teoricamente il film narra le vicende di un avvocato costretto, per mantenere il suo lavoro, a piazzare una casa in Cornovaglia, che ha la fama di essere infestata. Il film di per sé, non è malaccio. Rispettando a pieno la classica scaletta di cliché da ghost-story, si avvia verso una conclusione che non va giudicata secondo parametri di maggiore o minore originalità, ma apprezzabile per la sua funzionalità al clima angosciante dell'opera. Dicevamo luoghi comuni e buchi di sceneggiatura
Per elevare il film ad opera degna di nota bisognava allora affidarsi al carisma dei suoi interpreti. Volendo fare un parallelo,"Wolfman", film horror non più ispirato di questo, poteva contare su due premi oscar carismatici come Hopkins e Del Toro.
Di fronte alla sfida di una prova di forza attoriale Radcliffe ha saputo tirare fuori questo: O_O. Cari amici, ebbene si, un semplice smile è perfettamente in grado di riassumere la sua interpretazione.
probabilmente mi è sfuggito qualcosa della trama. Sicuramente nel prologo o in qualche parte del film si specificava che il personaggio di Radcliffe è un avvocato robot privo di emozioni e impassibile di fronte a fantasmi vari. Oppure si diceva della sua dipendenza da crack, cosa che lo spingeva ad assumere espressioni costanti ed immutabili di perdita nel vuoto. O magari era autistico o, vabbè dai, che pippa di attore che è. E non si vedono margini di miglioramento.
Completamente fuori parte e, stavolta, non c'era il suo faccino Potteriano ad esprimere il suo personaggio. A questo punto viene da pensare che anche la sua classica interpretazione entusiastica/complessata/ormonale da adolescente sarebbe stata più efficace dell'opzione pesce lesso. Bocciatura quasi-totale.



Bob Harris