domenica 5 agosto 2018

"BIANCA" (1984) DI NANNI MORETTI

«A casa mia succedono cose strane. Le piante, io le annaffio ma loro muoiono lo stesso. La frutta marcisce. I muri, sembra che avanzino»
-Michele Apicella-

Con "Bianca" Nanni Moretti entra nell'olimpo del cinema italiano e si impone definitivamente quale autore con la A maiuscola. Lo fa portandosi dietro Michele Apicella (il cognome è quello della madre da nubile), l'alter ego che resisterà sino a "Palombella Rossa" (1989) e nel quale riversare dubbi, nevrosi ed amnesie.
In "Bianca", Michele è un giovane professore di matematica; da poco si è stabilito in una nuova casa a Roma e qui fa conoscenza con i suoi vicini: Massimiliano (interpretato da un giovanissimo Vincenzo Salemme) ed Aurora, una giovane coppia alle prese con i problemi di tutti i giorni, e Siro (l'immenso Remo Remotti), un anziano signore amante delle donne e della bella vita. Michele troverà l'amore nella professoressa di francese, Bianca (Laura Morante). Sullo sfondo una serie di delitti che sconvolge la quotidianità del suo palazzo.
In poco più di un'ora di film, Moretti riesce a condensare tutta la freschezza e la vitalità del suo pensiero, una visione della settima arte che si impone con uno stile e contenuti propri.
"Bianca" non è nient'altro che un giallo alla Agata Christie e, per caratteristiche, il Nanni protagonista, così arroccato nella sua ossessiva ma meditante superiorità, può ricordare un Ercule Poirot più logorroico e meno pacato. Moretti ci propone la sua visione del cinema di genere, una propensione hitchcockiana (si vedano I richiami a "La finestra sul cortile") in cui non ostentare il delitto. Un film su un serial killer non deve finire in una colata splatter à la "Harry-Pioggia di sangue"; è la telecamera ad uccidere, facendo semplicemente scomparire le persone dal suo obiettivo. 
Ciò che appare evidente nell'opera di Moretti è una ricerca costante del nonsense e del surreale, anche qui, quasi a richiamare un altro sommo confronto con il primo caustico Woody Allen.
Il raffronto con l'autore statunitense non è casuale e limitato: c'è l'idea dell'autore/protagonista, una visione cinica (ma a piccoli tratti incantata) della società contemporanea; c'è il suo interagire con una moltitudine di personaggi, piazzati lì lungo il suo percorso egotico, con lo scopo di giungere, tramite un costante dialogo maieutico, ad una ragionata ed rinnovata consapevolezza di sé. 
E poi quella visione così conflittuale e psicoanalitica della relazione sentimentale: l'attitudine di Moretti ricorda facilmente l'Allen di un "Bananas" o di un "Io e Annie". Personaggi in costante lotta con le proprie fisime, arrapati ed impauriti, sempre messi di fronte all'Amore, desiderosi e disillusi nella sua ricerca, ma incapaci di accettarlo veramente quando si palesa.
Michele Apicella, come Moretti, è un raffinato osservatore della realtà circostante e delle dinamiche umane. Tramite i vari personaggi comprimari ci offre un prospetto dei rapporti umani nelle loro varie declinazioni ed elabora una riflessione, piuttosto esistenziale, del sentimento umano. Dal particolare al generale/universale, come da manuale.
Tra una scena memorabile e l'altra (il barattolo gigante di Nutella con cui lenire le nevrosi d'amore, il monologo sulla torta Sacher) si giunge al dipanamento dell'intreccio. 
Il film riesce a mantenere saldo il proprio filo conduttore, nonostante la miriade di riflessioni ed episodi slegati dell'intreccio principale e, tutto sommato, Moretti ci porta per mano al finale con la trillante curiosità di scoprire il nome dell'assassino. 
Questo significa essere autori: piegare il genere alla propria visione, sfruttarlo per raccontare e raccontarsi, ma rispettandone la struttura e la forza narrativa. 
Moretti uber alles!

Habemus Judicium:
Bob ft. Ismail



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