lunedì 13 agosto 2018

"LA BAMBINA CHE AMAVA TROPPO I FIAMMIFERI" (1998) DI GAETAN SOUCY

«Essendo io il segretariano quel giorno, avevo il diritto d'indulgiare a uscire dal letto dei campi dopo una notte all'addiaccio e mi ero appena messo a tavola davanti all'incunabolo quand'ecco che fratellino scende da basso».
Segretariano, incunabolo, addiaccio. Seguiranno misteriosi Giusti Castighi, teche e donne da collocare tra le Puttane o le Sante Vergini.
Poche righe e ci ritroviamo in un mondo altro, cadenzato da una scrittura sopraffina che mescola un linguaggio arcaico a sconcezze, un neo-volgare che ci pone in un tempo indefinito che può essere oggi o l'alto medio evo.
Il luogo è anch'esso indefinito, una grande casa, circondata da campi con una pineta fitta che le si staglia dinnanzi e la isola da ogni forma di civiltà.
I protagonisti sono due, anzi tre.
Padre è un'entità evanescente. E' morto nella pagina bianca, prima ancora che l'inchiostro abbia iniziato a tracciare la storia, eppure impera moralmente e fisicamente. E' stato un uomo violento, un Dio folle e dispotico che ha generato due figli, gli ha imposto il proprio codice etico-religioso, li ha salvaguardati da ogni contatto con l'esterno rendendoli dei selvaggi.
Ciò che sanno i due fratelli della vita lo hanno appreso dalla bocca del padre o dai poemi cavallereschi presenti in libreria. La morte di Padre è quella del dio nietzschiano, il crollo dei valori e del senso delle cose che li costringerà a prendere in mano le redini della vita. E uno dei due fratelli, quello più portato alla parole, ci scriverà in prima persona la (sorprendente) storia.
"La bambina che amava troppo i fiammiferi" è un tumulto che scuote la coscienza del lettore, un thriller dalle tinte grottesche e macabre che non smette mai di stupire.
Secco quanto la "Trilogia della città di K." (LINK) della Kristoff (con il quale condivide la forza straniante e spersonalizzante della violenza), Gaetan Soucy centellina gli indizi con parsimonia ed edifica una nebulosa narrativa in cui ci si smarrisce. Sono i piccoli dettagli a fare la differenza, fatti accennati, lasciati e ripresi, che mettono alle corde il lettore portandolo a vivere la meraviglia del sublime all'interno di un orrido mistero che sembra non aver mai fine.
Un ultimo consiglio cari lettori. Come avrete notato, non ho messo (come mio solito) la copertina del libro. Il motivo è semplice, questa dice troppo. Fate una cosa, andate dal vostro libraio di fiducia (o mandate un ambasciatore al vostro posto) e fatevi mettere una fodera di carta come si faceva ai tempi della scuola. Sarà necessario per non rovinarvi questa festa della lettura.

Habemus Judicium:
Ismail

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