«Rick Deckard: Una volta facevo il tuo lavoro. Ero bravo.
Agente K: Era più semplice allora. »
Capolavoro!
Allora si può fare un film all'altezza del primo, anzi superiore!
Se prima pensavamo non si potesse concepire un seguito di "Blade Runner"[LINK], adesso non possiamo immaginare un "Blade Runner" senza il suo seguito!
Tutte queste altisonanti dichiarazioni, da parte di chi, per mestiere, guarda i film e li giudica per gli spettatori, hanno creato un'ulteriore attesa per 2049. Certo, puzzava un po' di bruciato il fatto che venissero sparate sul trailer del film o sulle mille pagine promozionale presenti nei social.
Si aveva quasi quasi l'impressione fossero state create ad arte per pompare il film, aumentando l'hype in modo spasmodico. Quasi a insinuare il dubbio che tali recensioni siano il frutto di gente prezzolata, cosa impensabile in un paese come il nostro, in cui siamo immuni, per fortuna, ai marchettari e ai trasformisti.
Ma, comunque, era cosa buona e giusta astenersi da giudizi sommari e, a parte il post di alcune settimane fa [LINK] in cui giocavamo a "recensire" il poster del film, rimandare il tutto a dopo la visione. Perciò, finalmente, possiamo analizzare nel dettaglio il film.
Trama: siamo nel 2049 sempre a Los Angeles e la Tyrrell Corporation è stata rilevata da un replicante (o forse no, non si capisce mica) di nome Wallace. L'Agente K, interpretato da Ryan Gosling, è un Blade Runner della LAPD ed anche un replicante di nuova generazione, di quelli fedeli agli umani;il suo lavoro è cacciare gli ultimi modelli di Nexus 8 rimasti.
Mentre sta sbrigando uno dei suoi casi, viene a conoscenza di una prova che rimanda a frammenti del suo passato. Un passato che potrebbe celare delle rivelazioni importanti per l'umanità e sulle quali Wallace ed altri hanno intenzione di mettere le mani ad ogni costo.
Finalmente questo "Blade Runner 2049" risponde all'interrogativo che da anni tormenta i fan di "Blade Runner": è giusto che il capolavoro di Ridley Scott abbia un seguito?
La risposta è NO.
La risposta è NO.
Il guaio è che parte dei motivi era ampiamente prevedibile ma, ciononostante, dopo la visione, se ne aggiungono altri.
Di Denis Villeneuve abbiamo già parlato e ribadiamo quanto detto: regista dalla potenza visiva illimitata, un costruttore di immagini e geometrie protese alla perfezione e l'Eletto della fantascienza blockbuster di inizio terzo millennio. Perciò non ci si poteva certo aspettare un film deludente dal punto di vista visivo; anzi, si può tranquillamente affermare che la visione di Villeneuve amplifica l'universo di Blade Runner, ne allarga e migliora la prospettiva, non si limita al compitino di restituire quella grandezza, ma la eleva al quadrato avvalendosi anche di scenografie titaniche e squadrate e di una resa fotografica policromica e satura, dall'effetto ipnotico e allucinante (sempre Lynch e Refn alla base). Da questo punto di vista, "2049" è indiscutibilmente un valore aggiunto.
Per concludere il discorso sulla confezione esterna del film, bisogna dire che, invece, la colonna sonora, pur contando sull'apporto di Hans Zimmer, è molto scolastica nella sua professione di fedeltà alla linea ed aderenza completa al capostipite, di cui riproduce praticamente in toto il sound, senza minimamente toccare le vette di poesia ed il mood di Vangelis; rinuncia ad osare e a suscitare sensazioni diverse allo spettatore.
Diversamente, la polpa del film vorrebbe avere un gusto familiare e allo stesso tempo più fresco ed originale. Ma sulla resa complessiva pesa la spada di Damocle auto-sguainata dall'ambizione e dall'avidità di una produzione, che ha voluto forzare la mano nel riprendere un film che, proprio dalla sua autarchia e dalla sua incompiutezza compiuta (scusate il gioco di parole) traeva la sua grandezza. Il tutto per un pugno di dollari, o, forse, per qualche dollaro in più.
A giudicare "Blade Runner 2049" come un qualsiasi film di fantascienza ne uscirebbe un giudizio positivo. Vivrebbe di rendita del comparto estetico d'eccellenza e delle prove di talenti old (Ford e Robin Wright) e new school (Leto e Gosling).
Ma, spingiamoci anche oltre: funzionerebbe molto bene anche con questo stesso titolo, cioè decidendo di ambientarlo nello stesso universo di Blade Runner, ma seguendo una storia parallela a quella di Deckard e Rachel. E invece no, si vuole a tutti i costi creare epopee su epopee, Star Wars su Star Wars, incastrare e mischiare personaggi e trame vecchie e nuove.
Il risultato è un prodotto insipido e pesante da digerire: ingiustificato nella sua durata chilometrica, piena di passaggi a vuoto per aggiungere quantità all'entertaining; nei suoi risvolti narrativi, forzati, poco convincenti, di una banalità disarmante e, in alcuni casi, involontariamente comici. Per non parlare del fatto che il personaggio di Ana De Armas (Joy), un software dalla fattezze femminili innamorato dell'agente K, suo proprietario, è scopiazzato da "Her" di Spike Jonze, sia concettualmente sia nella scena erotica/lesbo/sentimentale in cui sono presenti la stessa Joy, l'agente K e una prostituta (che nel film manco è solo una prostituta, purtroppo): ne esce fuori una trashata da sganascioni sonori, nonostante fino ad allora Villeneuve aveva cercato pazientemente di costruire un'atmosfera credibile in stile "Blade Runner".
Il fatto è che Ridley Scott, approcciandosi alla sessualità, proponeva una messa in scena austera: dipingeva un'umanità fatiscente anche nella sua incapacità di riprodursi, mentre, dall'altro lato, i replicanti esprimevano una sessualità meccanica e straniante. Perciò la storia d'amore tra Deckard e Rachel, intrisa di sofferenza e vitalità, rappresentava un lampo nel buio e risaltava con un significato e uno spessore ben diverso. Villeneuve, invece, piazza lì un siparietto erotico fine a se stesso, intride di melenso stonato la storia tra K e Joy e, ancora una volta dopo "Arrival"[LINK], dimostra di non andarci per il sottile.
Il fatto è che Ridley Scott, approcciandosi alla sessualità, proponeva una messa in scena austera: dipingeva un'umanità fatiscente anche nella sua incapacità di riprodursi, mentre, dall'altro lato, i replicanti esprimevano una sessualità meccanica e straniante. Perciò la storia d'amore tra Deckard e Rachel, intrisa di sofferenza e vitalità, rappresentava un lampo nel buio e risaltava con un significato e uno spessore ben diverso. Villeneuve, invece, piazza lì un siparietto erotico fine a se stesso, intride di melenso stonato la storia tra K e Joy e, ancora una volta dopo "Arrival"[LINK], dimostra di non andarci per il sottile.
Ad ogni modo di scene buffe ce ne sono altre: un esempio è quella in cui la replicante della Tyrrell gioca a battaglia navale con dei barboni usando un satellite a distanza, tramite un visore facciale, mentre si fa fare comodamente la manicure svaccata sulla poltrona dell'ufficio.
Se l'invincibile Ryan Gosling sarà sempre una freccia d'oro nella faretra di una produzione cinematografica e qui regge con disinvoltura, sulle sue spalle, la prima parte della narrazione, il buon Ford continua a non voler accettare il meritato pensionamento e si fa infilare anche in questo caso, nella sceneggiatura, la scenetta d'azione, ma non ce la fa più e si vede. Basta Harrison è finita, siediti là.
Jared Leto, che interpreta Wallace, fa il possibile, ma onestamente il suo personaggio, un santone magniloquente e megalomane, è completamente inutile come villain.
Poi ovviamente un po' di fan service che diamine: la gente ha pagato per vedere "Blade Runner" e allora non basta riesumare Deckard, sparpagliare dei rimandi qua e là al primo capitolo all'inizio, per poi finire appiccicando a forza i due film. Eh no!
Che ne pensate di una digitalizzazione di una versione giovane di Sean Young per mostrare, per una manciata di secondi, una Rachel nuova di pacca? Pippette per tutti.
Per concludere non si può che scuotere la testa di fronte a questa operazione commerciale, che annacqua l'immaginario di un capolavoro come "Blade Runner", replicandone i temi in modo più sempliciotto, introducendone altri di una certa banalità e scontatezza, smorzandone in parte le atmosfere e nella totale incapacità di riprodurre quella poetica sull'esistenzialismo e quello stile da noir anni 30'; ma, soprattutto, si dimostra non all'altezza di restituirne quell'immaginario fantascientifico decadente e straniante, non solo nella forma, ma soprattutto nei contenuti.
Cose che voi umani non potete immaginare.
Bob Harris
L'ho amato. Avevo paura di beccarmi una sonora delusione. Blade Runner 1982 è un cult intramontabile per me. Ma così non è stato. Si, il Villeneuve tende al cinema "serioso/impegnato". Ha provato con un blockbuster tipo Arrival ma ha fatto casino. Con il sequel 2049 pecca di riprese lente e di minutaggio eccessivo per il pubblico mainstream (l'ha ammesso anche lui). Ci sono difetti ma è un grande film che non mi ha delusa. Premi Oscar dovuti ancorchè meritati.
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