« Dio si avvicina, appoggia il caffè su una cassa da imballaggio e prende un dossier a caso.
C'è scritto 'XVIII SECOLO: TRATTA DEGLI SCHIAVI'. Schiavismo: questo Dio lo conosceva bene, purtroppo. Quei bastardi dei faraoni ne andavano matti. Ma la tratta degli schiavi? - Che cazzo è la 'tratta degli schiavi'? - domanda Dio mentre apre il dossier corrucciato ».
Operosi animaletti questi umani.
Questo il pensiero di Dio quando decise di prendersi 7 giorni di vacanza (circa 5 secoli terrestri) per andarsene a pesca di trote. Dio aveva lasciato il suo ufficio in pieno Rinascimento con Galileo che infilava il suo naso tra i satelliti di Giove e nei teatri vittoriani veniva rappresentato i Re Lear.
Una pacchia!
Torna e trova tanti faldoni, alcuni su carta, altri su una serie di nuovi supporti appena inventati come Dvd ed Hard Disk.
Non c'è che dire sono davvero ingegnosi quegli animaletti.
Poi però la doccia fredda, un mix di incazzatura e depressione per il buon Dio.
La tratta degli schiavi, genocidi, preti che incitano l'assassinio dei medici abortisti, il pianeta ridotto uno schifo con un subcontinente di materiali plastici nel Pacifico ed in più dei mentecatti che in suo nome godono nel lapidare omosessuali, adulteri ed infedeli.
C'è solo una soluzione rimandare suo figlio Gesù, un fattone rockettaro, tra gli uomini, a New York, e da qui veicolare l'unico vero comandamento: Fate i Bravi.
Un'idea di fondo intrigante, ricca di spunti divertenti e da cui poter far sviluppare riflessioni tutt'altro che scontate. "A volte ritorno" è un libro ironico che traspone Cristo nella modernità attraverso un racconto che vive di analogie con il Vangelo: Egli si circonda di persone ai margini della società (diseredati ed ex-tossici), incontra una nuova Maddalena e vive gli attriti più forti con chi si fa portatore della vera fede.
Niven, per ampi tratti del romanzo, trova le giuste alchimie.
Ci si gode una gustosa e dissacrante umanizzazione di Dio, Gesù, Santi e Profeti, alle prese con una complessa riunione di emergenza da cui far uscire la soluzione per risolvere i problemi della Terra.
Poi però appaiono delle crepe.
Lo scrittore scozzese fa un uso smodato, e spesso gratuito, del turpiloquio, che, se inizialmente spiazza e diverte, alla lunga, mancando una precisa contestualizzazione, appare un po' ripetitivo; caro Niven mettere continuamente in bocca all'angelo/divinità di turno parole come negro, cazzo, frocio non è sempre e necessariamente divertente.
Sono 380 pagine di alti e bassi, conditi da monologhi poco incisivi e da uno stile non così eccelso.
La sensazione peggiore leggendo è che ad un certo punto sembra quasi che ci si sia dilungati troppo nella scrittura. Viene il dubbio di trovarsi dinnanzi ad un'idea di partenza (o ad uno scrittore) più indicata ad un racconto piuttosto che ad un romanzo e che lo sviluppo di quasi 400 pagine sia giunto più su logiche economiche della casa editrice.
Verso la fine giunge una nuova impennata, "A volte ritorno" prende la via del thriller, la lettura trova nuova linfa ed anche lo stile e contenuti giovano della virata; quando si finisce l'ultima pagina si prova anche un discreto piacere.
Cosa si può dire in sintesi di "A volte ritorno"?
Che è un romanzo non a fuoco, di una furbizia fastidiosa che svilisce irrimediabilmente la carica dissacrante, che in più riprese si lascia posare in qualche anfratto casalingo a prendere polvere.
E dello scrittore?
Che è rimandato a settembre!
Habemus Judicium:
Questo il pensiero di Dio quando decise di prendersi 7 giorni di vacanza (circa 5 secoli terrestri) per andarsene a pesca di trote. Dio aveva lasciato il suo ufficio in pieno Rinascimento con Galileo che infilava il suo naso tra i satelliti di Giove e nei teatri vittoriani veniva rappresentato i Re Lear.
Una pacchia!
Torna e trova tanti faldoni, alcuni su carta, altri su una serie di nuovi supporti appena inventati come Dvd ed Hard Disk.
Non c'è che dire sono davvero ingegnosi quegli animaletti.
Poi però la doccia fredda, un mix di incazzatura e depressione per il buon Dio.
La tratta degli schiavi, genocidi, preti che incitano l'assassinio dei medici abortisti, il pianeta ridotto uno schifo con un subcontinente di materiali plastici nel Pacifico ed in più dei mentecatti che in suo nome godono nel lapidare omosessuali, adulteri ed infedeli.
C'è solo una soluzione rimandare suo figlio Gesù, un fattone rockettaro, tra gli uomini, a New York, e da qui veicolare l'unico vero comandamento: Fate i Bravi.
Un'idea di fondo intrigante, ricca di spunti divertenti e da cui poter far sviluppare riflessioni tutt'altro che scontate. "A volte ritorno" è un libro ironico che traspone Cristo nella modernità attraverso un racconto che vive di analogie con il Vangelo: Egli si circonda di persone ai margini della società (diseredati ed ex-tossici), incontra una nuova Maddalena e vive gli attriti più forti con chi si fa portatore della vera fede.
Niven, per ampi tratti del romanzo, trova le giuste alchimie.
Ci si gode una gustosa e dissacrante umanizzazione di Dio, Gesù, Santi e Profeti, alle prese con una complessa riunione di emergenza da cui far uscire la soluzione per risolvere i problemi della Terra.
Poi però appaiono delle crepe.
Lo scrittore scozzese fa un uso smodato, e spesso gratuito, del turpiloquio, che, se inizialmente spiazza e diverte, alla lunga, mancando una precisa contestualizzazione, appare un po' ripetitivo; caro Niven mettere continuamente in bocca all'angelo/divinità di turno parole come negro, cazzo, frocio non è sempre e necessariamente divertente.
Sono 380 pagine di alti e bassi, conditi da monologhi poco incisivi e da uno stile non così eccelso.
La sensazione peggiore leggendo è che ad un certo punto sembra quasi che ci si sia dilungati troppo nella scrittura. Viene il dubbio di trovarsi dinnanzi ad un'idea di partenza (o ad uno scrittore) più indicata ad un racconto piuttosto che ad un romanzo e che lo sviluppo di quasi 400 pagine sia giunto più su logiche economiche della casa editrice.
Verso la fine giunge una nuova impennata, "A volte ritorno" prende la via del thriller, la lettura trova nuova linfa ed anche lo stile e contenuti giovano della virata; quando si finisce l'ultima pagina si prova anche un discreto piacere.
Cosa si può dire in sintesi di "A volte ritorno"?
Che è un romanzo non a fuoco, di una furbizia fastidiosa che svilisce irrimediabilmente la carica dissacrante, che in più riprese si lascia posare in qualche anfratto casalingo a prendere polvere.
E dello scrittore?
Che è rimandato a settembre!
Habemus Judicium:
Ismail
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