«Che cos'è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d'esecuzione» diceva qualcuno. E per quale ragione relegarlo nella mera traduzione dei titoli dei film stranieri quando ci si può sbizzarrire liberamente?
A volte va discretamente bene. Pensiamo a "The Texas Chainsaw Massacre" che da noi diventò "Non aprite quella porta". Altre volte è un mezzo disastro. Il caro Truffaut, che sicuramente fece qualcosa di molto brutto al titolista italiano, si vide trasformare il suo "Domicile Conjugal" in "Non Drammatizziamo...è solo questione di corna", manco fosse 'na commedia con Ubalde e Pippi Franchi.
E non è andata neanche bene a Benchetrit. Il suo "Asphalte" è stato distribuito come "Il condominio dei cuori infranti", con tanto di O stilizzata a forma di cuore sulle locandine. Un bluff ai danni dello spettatore, da un titolo così ci si può solo aspettare una commedia mielosa.
La realtà che si incontra sin dai primi minuti è ben altra.
Una cifra stilistica austera, fatta di silenzi e lunghi piani sequenza che toccano note di surreale. Ed a fare da scenografia i palazzoni grigi ed amorfi delle banlieue, luoghi tenuti separati da quei centri immortalati nelle cartoline. Si entra in uno dei condomini. Pareti imbrattate, un ascensore che non ne vuole sapere di funzionare e dietro le porte un' umanità fatta di cadute e solitudini.
Benchetrit ci propone tre storie.
A volte va discretamente bene. Pensiamo a "The Texas Chainsaw Massacre" che da noi diventò "Non aprite quella porta". Altre volte è un mezzo disastro. Il caro Truffaut, che sicuramente fece qualcosa di molto brutto al titolista italiano, si vide trasformare il suo "Domicile Conjugal" in "Non Drammatizziamo...è solo questione di corna", manco fosse 'na commedia con Ubalde e Pippi Franchi.
E non è andata neanche bene a Benchetrit. Il suo "Asphalte" è stato distribuito come "Il condominio dei cuori infranti", con tanto di O stilizzata a forma di cuore sulle locandine. Un bluff ai danni dello spettatore, da un titolo così ci si può solo aspettare una commedia mielosa.
La realtà che si incontra sin dai primi minuti è ben altra.
Una cifra stilistica austera, fatta di silenzi e lunghi piani sequenza che toccano note di surreale. Ed a fare da scenografia i palazzoni grigi ed amorfi delle banlieue, luoghi tenuti separati da quei centri immortalati nelle cartoline. Si entra in uno dei condomini. Pareti imbrattate, un ascensore che non ne vuole sapere di funzionare e dietro le porte un' umanità fatta di cadute e solitudini.
Benchetrit ci propone tre storie.
Quella di Stemkowitz, un uomo insignificante ed asociale che, dopo essersi rifiutato di pagare la sua quota per l'ascensore, si ritrova sulla sedia a rotelle per uno sforzo eccessivo su una cyclette. Inizia una vita notturna, lontano da occhi indiscreti pronti a giudicarlo, che lo porteranno a conoscere un'infermiera.
Poi c'è Hamida, dolce madre algerina con il figlio in carcere, che apre la sua porta di casa a John McKenzie, un astronauta americano uscito fuori dai radar della Nasa e sbarcato per errore sul terrazzo dell'edificio.
Infine Charly, un adolescente con una madre fantasma, che fa la conoscenza della nuova dirimpettaia, Jeanne, un'attrice famosa negli anni '80, oggi depressa e con il vizio del bere.
Tre storie quindi, che si muovono parallelamente e si incontrano solo idealmente in quel senso di sconfitta e rinascita.
Il Condominio colpisce nel suo minimalismo. Pochi dialoghi e qualche sguardo bastano per calarci nelle pieghe dell'animo dei protagonisti, un tratteggio libero dai facili sentimentalismi (sempre dietro l'angolo in script come questi) e carico di un'ironia che si burla delle paure dei nostri tempi e dei piccoli egoismi umani.
Non siamo dinnanzi a niente di così nuovo ed originale è vero; e questo difetto lo si avverte sopratutto nell'incontro tra l'adolescente e l'attrice matura, dove si segue un canovaccio che sa di già visto. Alcuni potranno tacciare Benchetrit di estremo buonismo nel lasciarsi alle spalle, e celare, i conflitti sociali francesi. Eppure non si può non apprezzare questo sgangherato "Condominio" che attraverso i suoi caduti, apre le porte ad una dolce umanità che resiste agli alveari abitativi, ci distoglie dai timori quotidiani e ci dona una incosciente e fiabesca serenità. E ritrovarsi così fa sempre bene all'animo.
Habemus Judicium:
Poi c'è Hamida, dolce madre algerina con il figlio in carcere, che apre la sua porta di casa a John McKenzie, un astronauta americano uscito fuori dai radar della Nasa e sbarcato per errore sul terrazzo dell'edificio.
Infine Charly, un adolescente con una madre fantasma, che fa la conoscenza della nuova dirimpettaia, Jeanne, un'attrice famosa negli anni '80, oggi depressa e con il vizio del bere.
Tre storie quindi, che si muovono parallelamente e si incontrano solo idealmente in quel senso di sconfitta e rinascita.
Il Condominio colpisce nel suo minimalismo. Pochi dialoghi e qualche sguardo bastano per calarci nelle pieghe dell'animo dei protagonisti, un tratteggio libero dai facili sentimentalismi (sempre dietro l'angolo in script come questi) e carico di un'ironia che si burla delle paure dei nostri tempi e dei piccoli egoismi umani.
Non siamo dinnanzi a niente di così nuovo ed originale è vero; e questo difetto lo si avverte sopratutto nell'incontro tra l'adolescente e l'attrice matura, dove si segue un canovaccio che sa di già visto. Alcuni potranno tacciare Benchetrit di estremo buonismo nel lasciarsi alle spalle, e celare, i conflitti sociali francesi. Eppure non si può non apprezzare questo sgangherato "Condominio" che attraverso i suoi caduti, apre le porte ad una dolce umanità che resiste agli alveari abitativi, ci distoglie dai timori quotidiani e ci dona una incosciente e fiabesca serenità. E ritrovarsi così fa sempre bene all'animo.
Habemus Judicium:
Ismail
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