giovedì 10 maggio 2018

CLAUDIO CALIGARI, L'OUTSIDER DEL CINEMA ITALIANO (PARTE III):"NON ESSERE CATTIVO" (2015)



«Una storia degli anni novanta. Quando finisce il mondo pasoliniano »
-Claudio Caligari-

Forse era inevitabile che si dovesse tornare lì da dove tutto è partito.
Ostia col suo pontile ancora una volta l'ideale scenografia per l'inizio di un suo film. E lì due amici, Vittorio (Alessandro Borghi) ed un nuovo Cesare (Luca Marinelli), che si incontrano. Al centro della pellicola delle vite marginali e le droghe, non più da iniettare ma da deglutire o sniffare.
Ma prima di giungere a "Non Essere Cattivo" erano state battute anche altre strade. Un tentativo di opzione, poi fallito, assieme a Valerio Mastrandrea per il "Romanzo Criminale" di Giancarlo De Cataldo. Una sconfitta su tutti i fronti. Mastrandrea non entra nel cast, Caligari viene proposto per regia ma la produzione alla fine gli preferisce Michele Placido; il risultato è una prova scialba che di li a poco sarà oscurata da una più degna serie tv firmata da Sollima
Poi, siamo tra il 2004 ed il 2005, tutto sembra pronto per "Anni Rapaci", un lungo racconto che muove dalla metà degli anni '70 e giunge al presente; è la storia dell'ascesa dei clan dei calabresi a Milano. Si compone il cast, tra i quali figurano Marco Giallini e l'amico Mastrandrea. Poi però i produttori chiudono il portafoglio e tutto si ferma. Per loro era impensabile girare un film su personaggi così tanto negativi. 
Tante sconfitte, è vero, eppure la pellicola ricomincia a girare. "Non Essere Cattivo" non lo vedrà montato, Caligari morirà poco prima. Seguirà il Festival di Venezia, che gli aprirà idealmente le porte per l'ultima volta. Poi il film sarà scelto come il titolo italiano da proporre per gli Oscar. Il nostro cinema si ripuliva la coscienza dopo averlo tenuto alla larga. Ma evitiamo le polemiche, che a nulla servono, e torniamo a quel pontile ed ai due amici che abbiamo incontrato poco fa.
"Non essere cattivo" è un film doloroso.
Lo è per la storia; al centro abbiamo due non-eroi destinati alla sconfitta, che tirano a campare spacciando qualche pasticca e un po' di coca, e di tanto in tanto vanno a sballarsi con gli amici. Una vita che si trascina senza senso ed immersa in una realtà che non lascia speranze. L'inerzia viene rotta da un violento trip che sconvolge Vittorio. Trova un lavoro, una compagna con cui costruire una vita e cerca di salvare quell'amico-fratello che di cambiare non ha poi tanta voglia. 
"Non essere cattivo" è la storia di due reclusi, confinati in una borgata dalla quale sembra impossibile uscire e che lascia senza respiro; dove la roba da vendere diventa necessaria ed il lavoro, fatto di cantieri in cui lavorare in nero, è un disvalore; e quel maledetto mare che si staglia lì davanti a loro, è una barriera che è meglio non guardare perché fa salire i pensieri.
Ed il dolore non è solamente nella storia messa in scena. Sta anche nel vedere un regista, che, con eccezionale bravura, tira su un film così semplice ed allo stesso tempo carico di significati.
E' difficile trovare tanto equilibrio nel parlare della società di ieri ed oggi. Così come incrociare dialoghi asciutti, secchi e carichi di tensione, cosi ben scritti; scavalcano ogni finzione scenica e sembrano uscire direttamente dal quotidiano.
E quella attinenza con il reale, che Caligari ha sempre ricercato, viene incorniciata magnificamente con una fotografia che immortala notti tenebrose illuminate dai neon dei bar (come ne "L'odore della notte"), e da un sole pallido e rarefatto che si specchia nella sabbia di Ostia. Così come notevole il casting, vero punto di forza di tutta la filmografia del regista di Arona, con un Luca Marinelli che porta allo scoperto la profondità delle sue interpretazioni ed un sommesso Borghi, qui perfetto compagno di set. Lo stesso si dica per gli attori minori, volti perfetti di personaggi ottimamente calibrati.
Si chiude un cerchio ideale e lo si fa nel migliore dei modi, attraverso una non-epopea intessuta di una tragica ironia, un viaggio tra le emozioni che ci porterà dinnanzi ad una serenità solo effimera;, perché alla fine, si sa, le cose non bastano mai.

Titoli di coda:
In 30 anni di carriera ci ha lasciato poco se guardiamo le filmografie da un punto di vista meramente quantitativo, tanto se vediamo il significato di questa preziosa eredità. Il suo è stato un cinema resistente, portatore di un sguardo alternativo rispetto alle narrazioni dominanti.
Il cinema popolare italiano, a partire dagli anni '80, ha iniziato un processo involutivo. I generi sono spariti, così come si è persa traccia delle zone grigie della società. Si è preferito un approccio edulcorato, senza conflitti, in grado coccolare lo spettatore. Roma, Napoli e Milano sono stati ridotti ridotti a gerghi, dei non-luoghi in cui non c'è nulla che possa minare una posticcia serenità di fondo e costringa lo spettatore ad una presa di coscienza, anche involontaria.
Caligari con ostinazione,  inseguendo il solco pasoliniano, è sceso dalla sua Arona e si è fermato a Roma. Ha conosciuto quei luoghi marginali che il cinema italiano ha per lo più dimenticato, e con umiltà, rigore ed ironia, ci ha mostrato queste realtà; lo ha fatto con una lucidità impressionante, senza mai ergersi a giudice dei personaggi portati in scena.

«Per Claudio 'ideologia' non è mai stata una brutta parola. Lo ha spinto a non fare mai un passo indietro e gli ha permesso di difendere quello che faceva con una forza che non ho mai visto in vita mia. E gli ha consentito anche di lottare con il male costringendolo ai supplementari più di una volta. Claudio ha perso ai rigori, che si sappia questo. E ai rigori non è mai una sconfitta reale. A tutti noi che lo abbiamo accompagnato nell'ultimo sogno realizzato è bastato questo. Onorarlo nel lavoro che più ha amato, maledicendo la sua ostinazione, ammirandone la tenacia, il coraggio e la passione. Ridendo alle sue battute crudeli. Commossi davanti alla sua commozione dell'aver iniziato e finito il suo nuovo e ultimo film» (dal Tumblr di Valerio Mastrandrea).

Ismail

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