«Non sai molto su Halloween. Pensi che non sia nient'altro che la strana usanza di far indossare maschere ai tuoi bambini e farli uscire a elemosinare dolciumi»
Sembra che negli ultimi anni il terzo capitolo della saga di "Halloween" abbia subito un'operazione di vernissage, nata spontaneamente dal basso, ossia effettuata da folte schiere di cinefili che ne hanno rivalutato la portata fino ad innalzarlo allo status di cult.
La prima particolarità di questo film della saga di Michael Myers sta nel fatto che... non c'è Michael Myers. Eh si perché il terzo capitolo prende una direzione autonoma e slegata dal filone principale della saga. Il plot narra di androidi, riti pagani, maschere di halloween pilotate e jingles ipnotici.
Già, poco stile Halloween la saga, ma tanta Carpenteria lo stesso: il regista americano qui è in veste di produttore, ma la sua mano si sente pesantemente, anche a distanza di macchina da presa.
Il male oscuro e ignoto, il lento e progressivo avvicinarsi della minaccia, scandito dal suono del synth, firma onnipresente di una filmografia, e la violenza tanto brutale quanto anonima, asciugata da ogni spettacolarizzazione, ma pur sempre esplicita e, a tratti, schifiltosa.
Non si grida al capolavoro, né al memorabile, ma, forse, è anche per questo che si è coniato il termine di cult. Una trama che, nonostante le bizzarrie, si dipana in modo piuttosto lineare, ma che gioca su un paio di colpi di scena riusciti. Tutto il resto è dannatissimo stile carpentierano, che già di per sé basterebbe, ma, soprattutto, è iconografia: iconiche sono le maschere di Halloween ed iconica la musichetta che accompagna le pubblicità della Silver Shamrock.
I personaggi, pur semplici nel loro tratteggio, hanno un che di memorabile; ma più di tutto è noto che il cinema trae la sua forza dalla potenza delle sue immagini. Beh, che dire, quelle di "Halloween III" si stampano nella testa dello spettatore e continuano a ripetersi all'infinito, proprio come un vecchio jingle.
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