«È impossibile non avere nemici che non nascono dalla nostra volontà di averli ma dal loro irresistibile desiderio di avere noi»
-José Saramago-
Un preambolo assurdo.
Adam, (Jake Gyllelhaal) un barbuto professore universitario con un divorzio alle spalle, è impegnato in una relazione oramai povera di entusiasmi con Mary (interpretata da quella meraviglia d'attrice che è Mélanie Laurent). Il prof, in una sera come tante, si mette a guardare un filmetto affittato in videoteca e, tra gli attori scorge una comparsa, un certo Anthony, identico a lui per aspetto e voce. Incuriosito si mette alla ricerca dell'attore cadendo inesorabilmente in una profonda crisi d'identità.
"Enemy", film del 2013 di Denis Villeneuve, è la trasposizione cinematografica de "L'uomo duplicato", opera letteraria del premio Nobel Josè Saramago. L'operazione è delle più complicate.
Il regista canadese si pone dinnanzi al rischio sempiterno del paragone tra cinema e letteratura, per giunta lo fa con un romanzo iconico e profondamente anticinematografico. "L'uomo duplicato" è un'opera quasi priva di immagini, che gode di un'impalcatura narrativa tutta fondata sui pensieri di Tertulliano, un lungo soliloquio da cui scaturisce il confronto con il senso comune, vero e proprio co-protagonista del romanzo. Ne deriva una verbosità titanica che si ripercuote su tutta la struttura narrativa, capace di imbrigliare la punteggiatura ed il discorso diretto/indiretto.
E cosa fa il buon Villeneuve per la sua trasposizione?
Semplice, fa ciò che meglio gli riesce (nel bene e nel male): prende immagini e suoni e li sostituisce alla sovrabbondanza di parole; non pago stravolge l'impianto narrativo del romanzo, difficilmente inquadrabile in qualche etichetta, e lo incanala nel genere.
"Enemy" è un thriller che gioca sulle ambiguità narrative, allontana lo spettatore dall'oggettività, lo pungola attraverso simboli che dissemina lungo tutta la pellicola e lo spinge all'interpretazione dello scontro psicologico in scena. E lo straniamento viene sostenuto da una regia dal grande impatto visivo che dona immagini di rara bellezza: i lenti e sinuosi movimenti di macchina; le carrellate lungo i corridoi che ribaltano l'immagine; il rapporto/scontro tra le architetture di Toronto, massicce, solide e alienanti, ed un Io disgregato dai dubbi; la fotografia.
E quindi questo "Enemy" è una buona trasposizione de "L'uomo duplicato"?
La risposta non può che essere affermativa.
Villeneuve, con coraggio, muove dal mondo di Saramago e se ne distacca, dando vita ad un buon thriller, che muove lento, ammalia e ci conduce ad un finale spiazzante alla Polanski.
Il regista candese qui mostra quel potenziale, mai pienamente espresso, visibile in "Polytechnique" [LINK] (sua migliore opera per chi scrive) e rimasto imbrigliato nelle successive, ed a dir poco deludenti, produzioni americane ("Prisoners", "Arrival"[LINK] e "Blade Runner 2049" [LINK]).
In questi giorni si è sparsa la voce della futura lavorazione di un remake di "Dune", portato sui grandi schermi da Lynch nel 1984, un confronto duro da reggere ed allo stesso tempo progetto ricco di stimoli. Io e il mio collega nel frattempo aspettiamo qui nella blogosfera, curiosi di vedere cosa deciderà di fare da grande il buon Villeneuve.
Habemus Judicium:
Ismail
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