«Il fatto che trovassi il mondo stupido, non ti rendeva più intelligente, ma più infelice»
Un uomo sulla trentina, del quale non sapremo mai il nome, si sveglia con un fastidioso fischio nell'orecchio, uno di quei rumori che può farti impazzire. Entra in cucina e dinnanzi al frigorifero vede attaccato un post-it: «È morto il tuo amico Luigi, questo è l’indirizzo della chiesa dove in serata si svolgerà il suo funerale. Ps. Mi sono presa le chiavi della macchina». Luigi, Luigi...e chi è costui?
A complicare le cose una coppia di suore che portano nella casa il fardello del Verbo e l'anziana dirimpettaia da poco vedova.
Che volesse mettere in scena qualcosa di diverso, una commedia che esulasse dai modelli predominanti che importano la comicità televisiva, lo si vede sin dal confezionamento estetico. Alessandro Aronadio punta tutto sul B/N e su una inusuale formato video che parte dal rapporto 1:1, con cui mette discorsi e pensieri al centro dell'attenzione, e ci conduce, quasi inconsciamente, verso i più canonici 16:9.
Oltre l'impacchettamento, che vuol dire tutto e niente, è interessante anche lo spunto narrativo che sembra prendere a piene mani da "Il Fischio al Naso", prima opera del Tognazzi regista.
Ma andiamo per gradi.
A complicare le cose una coppia di suore che portano nella casa il fardello del Verbo e l'anziana dirimpettaia da poco vedova.
Che volesse mettere in scena qualcosa di diverso, una commedia che esulasse dai modelli predominanti che importano la comicità televisiva, lo si vede sin dal confezionamento estetico. Alessandro Aronadio punta tutto sul B/N e su una inusuale formato video che parte dal rapporto 1:1, con cui mette discorsi e pensieri al centro dell'attenzione, e ci conduce, quasi inconsciamente, verso i più canonici 16:9.
Oltre l'impacchettamento, che vuol dire tutto e niente, è interessante anche lo spunto narrativo che sembra prendere a piene mani da "Il Fischio al Naso", prima opera del Tognazzi regista.
Ma andiamo per gradi.
Il nostro senza nome, interpretato da un sorprendente Daniele Parisi, qui al suo esordio, è un supplente di filosofia; ha una compagna con la quale ancora non convive; quest'amico da ricordare; il maledetto fischio che non lo abbandona più; ed un certo egocentrismo, una solida visione del mondo che lo fa essere straniero/alieno in questa società folle e rapida.
E su questi elementi si apre un viaggio a piedi lungo le strade di Roma, liberata dei suoi topoi architettonici e che pochi riconosceranno; un girovagare che porterà il filosofo dinnanzi a paradossali incontri con medici, professori e presunte guide da rispettare/giudicare; un sottobosco dal quale far emergere anche un'astrusa scena rap italo-filippina che scambia il male di vivere, de "Lo Straniero" di Camus, in un colpo di sole.
Il tutto è costruito con un cast d'eccezione: Silvia D'amico, che molti ricorderanno per "Non essere cattivo" di Caligari, Piera degli Esposti, Pamela Villoresi, Milena Vukotic, Massimo Wertmuller, giusto per fare qualche nome; tra questi trova spazio anche un intellettuale, quell' Alberto Abbruzzese che aveva già saggiato il set con Nanni Moretti e che qui ritroviamo immerso in una seconda vita videoludica.
Aronadio ci propone una lunga sfilza di situazioni, espediente con cui dà un buon ritmo alla narrazione e strappa più di qualche risata. E intendiamoci il rischio di toppare, di partorire una commedia sfilacciata, un'accozzaglia di scenette appiccicate con lo sputo tra di loro è altissima.
Aronadio se la cava bene, crea una buona tensione di fondo, unisce gli elementi ed apre ad un percorso credibile. E qual è l'architrave su cui edifica il tutto?
E' quel sentirsi straniero (ah, Camus non era casuale allora), l'avere un pensiero forte eppure non possedere quelle categorie che permettono di convivere ed interpretare il mondo circostante; il nostro senza nome si ritrova così impantanato in un profondo senso di smarrimento e sfiducia, un dubitare continuo che pone in crisi le proprie certezze e fa respirare allo spettatore le atmosfere del cinema morettiano (ma vuoi vedere che pure la scelta di Abbruzzese rientri in un disegno più ampio?). E con divertimento si giunge al funerale di Luigi, dinnanzi al quale non resta che arrendersi definitivamente alla realtà.
"Orecchie" non è un capolavoro intendiamoci, non creerà alcuna rottura epistemologica nel cinema italiano, vive di esagerazioni ed astrusità, e non mancano passaggi poco incisivi che danno la sensazione di prolungarsi oltre il necessario. Nonostante ciò questa pellicola è un regalo gradito. Crea domande, incuriosisce, divide ed evita strade confortevoli e levigate.
Il tutto è tirato su con la modica somma di 150000 euro.
E questo al cinema italiano non può che far del bene.
E su questi elementi si apre un viaggio a piedi lungo le strade di Roma, liberata dei suoi topoi architettonici e che pochi riconosceranno; un girovagare che porterà il filosofo dinnanzi a paradossali incontri con medici, professori e presunte guide da rispettare/giudicare; un sottobosco dal quale far emergere anche un'astrusa scena rap italo-filippina che scambia il male di vivere, de "Lo Straniero" di Camus, in un colpo di sole.
Il tutto è costruito con un cast d'eccezione: Silvia D'amico, che molti ricorderanno per "Non essere cattivo" di Caligari, Piera degli Esposti, Pamela Villoresi, Milena Vukotic, Massimo Wertmuller, giusto per fare qualche nome; tra questi trova spazio anche un intellettuale, quell' Alberto Abbruzzese che aveva già saggiato il set con Nanni Moretti e che qui ritroviamo immerso in una seconda vita videoludica.
Aronadio ci propone una lunga sfilza di situazioni, espediente con cui dà un buon ritmo alla narrazione e strappa più di qualche risata. E intendiamoci il rischio di toppare, di partorire una commedia sfilacciata, un'accozzaglia di scenette appiccicate con lo sputo tra di loro è altissima.
Aronadio se la cava bene, crea una buona tensione di fondo, unisce gli elementi ed apre ad un percorso credibile. E qual è l'architrave su cui edifica il tutto?
E' quel sentirsi straniero (ah, Camus non era casuale allora), l'avere un pensiero forte eppure non possedere quelle categorie che permettono di convivere ed interpretare il mondo circostante; il nostro senza nome si ritrova così impantanato in un profondo senso di smarrimento e sfiducia, un dubitare continuo che pone in crisi le proprie certezze e fa respirare allo spettatore le atmosfere del cinema morettiano (ma vuoi vedere che pure la scelta di Abbruzzese rientri in un disegno più ampio?). E con divertimento si giunge al funerale di Luigi, dinnanzi al quale non resta che arrendersi definitivamente alla realtà.
"Orecchie" non è un capolavoro intendiamoci, non creerà alcuna rottura epistemologica nel cinema italiano, vive di esagerazioni ed astrusità, e non mancano passaggi poco incisivi che danno la sensazione di prolungarsi oltre il necessario. Nonostante ciò questa pellicola è un regalo gradito. Crea domande, incuriosisce, divide ed evita strade confortevoli e levigate.
Il tutto è tirato su con la modica somma di 150000 euro.
E questo al cinema italiano non può che far del bene.
Habemus Judicium:
Ismail
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