lunedì 25 settembre 2017

"POLYTECHNIQUE" (2009) DI DENIS VILLENEUVE

«Anche se i media mi etichetteranno come un tiratore pazzo assassino, io mi considero una persona erudita e razionale, che è stata costretta ad agire con gesti estremi per l'incombere della grande mietitrice. Perchè perseverare nell'esistere se serve solo a far piacere al governo?»
-L'assassino-

Un mucchio di studenti davanti alle fotocopiatrici con libri e quaderni degli appunti in mano.
Dei colpi d'arma da fuoco che tagliano l'aria ed un silenzio ovattato a seguire.
Una ragazza dal volto insanguinato e terrorizzato viene seguita in soggettiva.
Dal fondo delle orecchie sale un sibilo.
Cambio di scena un ragazzo solo avvolto dal silenzio, seduto su un letto con un fucile piantato in fronte che spara a vuoto. Segue una lettera misogina, folle e terribilmente razionale.
Inizia così "Polytechnique", film del 2009 del regista canadese Denis Villeneuve.
Solo un'ora e un quarto di pellicola, girata in un freddo Bianco e nero, di un'intensità disarmante. Diciamocelo chiaro sin da subito, "Polytechnique" è un film bellissimo.
Presentato nella sezione Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes, Villeneuve narra il lato oscuro del Quebec portando sugli schermi il drammatico 6 dicembre del 1989, quando, nel Politecnico di Montreal, lo studente Marc Lepine, un deviato misogino amante delle armi, mise in atto il suo piano: massacrare con il proprio fucile più studentesse possibili per punire il tanto odiato femminismo.
Il film si incentra su tre momenti: gli attimi precedenti al massacro, il durante e tutto quello che ne scaturirà; il montaggio spezza la narrazione, alterna i piani temporali e si spinge a mostraci la scena centrale sotto i diversi sguardi (davvero ben riuscito).
Villeneuve confeziona un film che rasenta la perfezione. I movimenti di macchina, che lasciano fuggir via gli studenti dagli occhi dello spettatore, e le riprese che ribaltano gli spazi, riescono a veicolare quel senso di smarrimento ed impotenza dinnanzi ad una violenza tanto barbara quanto incomprensibile. La morte arriva con discrezione, alle sue esplosioni si chiudono le porte, ci si ripara dietro un un paravento e le telecamere staccano; si fugge dalla spettacolarizzazione e le stesse urla disperate si mescolano con basi musicali che sembrano uscire dal profondo dell'animo.
L'intensità di "Polytechnique" non risiede solo nella ricostruzione del massacro ma anche nella riflessione di fondo che segue tutto quanto lo svolgersi della trama. Ad essere al centro del discorso è la figura della donna ed il suo ruolo nella società occidentale, costretta a subire e reagire ad una tensione prevaricatrice maschilista ancora ben radicata. E' un film sull'odio irrazionale verso chi noi non siamo, la manifestazione di un caos coercitivo ed irrazionale che si cala dall'alto e mira a schiacciare la parte che si vuole far diventare debole.
La sintesi perfetta di tutto ciò ce la mostra lo stesso Villeneuve: siamo nel pieno del massacro, e la telecamera indugia su una stampa della Guernica di Picasso.
"Polytechnique" è per questo (e per tanti altri aspetti su cui ho sorvolato) un commovente connubio tra l'arte cinematografica ed il dramma, a paletti il miglior lavoro del regista canadese.


«Se avrò un maschietto gli insegnerò  ad amare, se sarà una femminuccia che il mondo le appartiene»
 -Valerie-                               

Habemus Judicium:

Ismail

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