giovedì 12 aprile 2018

"NELLE MANI GIUSTE" (2007) DI GIANCARLO DE CATALDO

«[...] Non si trattava che di estrarre, attraverso un paziente lavorio maieutico, il peggio che gli italiani si portano dentro da sempre. In passato l'impresa era riuscita a fascismo.»

Non è all'altezza di "Romanzo criminale".
Giancarlo De Cataldo come ha potuto solo pensare di fare un seguito? Oramai il Libanese, Nembo Kid, il Freddo e compagnia bella, o sono cibo per vermi oppure uomini oramai isolati e deboli.
E poi cosa dire di Nicola Scialoja? Come può tenere botta senza la continua tensione con il Vecchio?
Manca il coro, manca l'animo da strada che tanto aveva appassionato noi lettori.
Quel mondo doveva essere lasciato lì dov'era. Questa è solo un'operazione commerciale con cui cavalcare il successo dell'illustre precedente. "Nelle mani giuste" non suscita alcun interesse.
O almeno è questa l'opinione di quell'ammasso informe di recensioni che, dal 2007 ad oggi, hanno imperversato su internet. E visto che le cause perse mi piacciono, qualche tempo fa mi sono fiondato in libreria per accalappiarmi una copia.
Intendiamoci, De Cataldo decidendo di creare un seguito (attenzione "Nelle mani giuste" può essere letto indipendentemente dal primo) mostra un gran coraggio. Quello di sottoporsi agli inevitabili paragoni con una pietra angolare della nostra più recente letteratura, capace di entrare nell'immaginario collettivo anche grazie ad un film (mediocre) ed ad una ottima serie tv.
Ma di cosa parla questo romanzo?
Al centro della narrazione c'è l'Italia dei primi anni '90 scossa dal terremoto di Tangentopoli: Craxi fugge dall'hotel Raphael sotto un fitto lancio di monetine; la DC è prossima alla liquefazione; i comunisti si apprestano a vincere le elezioni dopo decenni di confino all'opposizione; la destra si dirige verso Fiuggi per ripulire anima e corpo, ed intravvede in un noto imprenditore di Arcore l'uomo giusto per vincere. Dietro Cosa Nostra cerca di capire dove andrà il potere e nel contempo gioca a braccio di ferro con lo Stato inaugurando una nuova strategia della tensione.
Il protagonista è sempre Nicola Scialoja, non più nei panni del commissario stradaiolo, ma in quelli di un nuovo vecchio che, da dietro dietro la scrivania, dirige i servizi segreti. Riappare poi il suo amore di sempre, oramai libera dal Dandi, Cinzia Vallesi per tutti Patrizia. E dietro di loro un nuovo cosmo in movimento. Un killer romantico. Un imprenditore discusso, Ilio Donatoni, che ha scalato l'azienda del Fondatore. Stalin Rossetti, un ex Gladio ritiratosi a vita privata, che cerca di scompigliare i nuovi e poco graditi equilibri politici.
E poi, poi c'è il miglior De Cataldo che, attraverso quel suo stile asciutto e diretto, prende la storia, l'intreccia, e ci propone uno sguardo verosimile (e non per forza reale) sulle zone grige della politica italiana. Un affresco di uomini e fallimenti, un preludio perfettamente orchestrato del paese che di li a poco avremmo scoperto.
Trattare gli eventi in questo modo, dare profondità a date e fatti, rendendoli appetibili e ricchi di suspense, è cosa che non riesce a tutti. E la percezione di ritrovarsi dinnanzi ad un gran lavoro la si ha già dal prologo, una potenza d'immagini che nulla (o quasi) ha da invidiare all'urlo di apertura di "Romanzo Criminale".
Si fa difficoltà a comprende la cattiva reputazione che "Nelle Mani Giuste" si è fatto. Forse ciò sta nel profondo e necessario cambio di direzione dato da De Cataldo. Se in "Romanzo Criminale" a farla da padrona erano le strade, qui dominano gli interni, i palazzi di potere. Si lascia una moltitudine di luoghi e persone in favore di un approccio più ristretto ed intimo. E i cambiamenti spesso a noi lettori non piacciono; ci facciamo prendere da uno spirito termidoriano, ci abituiamo agli schemi, cerchiamo rassicurazioni nel loro ripetersi, sempre pronti a spedire lettere minatorie al Conan Doyle di turno che decidesse di uccidere la sua creatura più famosa per dedicarsi ad altro...

Habemus Judicium:
Ismail

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