«La passione per il cinema nasce dall'appartenenza alle classi subalterne in un periodo in cui il cinema era ancora lo spettacolo popolare per eccellenza. Da bambino mi capitava di andare a vedere insieme a mio padre film come "Prima linea", "L'uomo senza paura" o "Roma città aperta" in televisione. Poi a 20 anni sono stato rapito dalla Nouvelle vague e dal clima politico di subbuglio che sentivo aleggiare.
Il cinema di quel periodo era un cinema contro ed allora mi sono detto "ma perché non posso farlo anch'io?". Così, e siamo a metà degli anni ‘70, anni in cui tutto sembrava si potesse mettere in discussione, ho preso mezzi leggeri ed ho iniziato a girare cose davvero underground, ma pieno di animo ed entusiasmo»(1).
-Claudio Caligari-
Una manciata di documentari (quasi) introvabili e tre soli film.-Claudio Caligari-
Nel mezzo tanti progetti saltati ed un coraggio rarissimo da trovare nel nostro cinema.
Claudio Caligari muove i primi passi nella metà degli anni '70, il suo è un approccio militante che muove dal mondo underground. Dirà dei suoi primi lavori: «Due cose caratterizzavano quei documentari: i mezzi leggeri e il sommovimento ideale compreso fra, diciamo, il 1968 ed il 1978. Mi piaceva entrare a contatto con aspetti estremi della vita e riprenderne le dinamiche e la forma documentaristica era l'ideale per mantenerne viva la veridicità e la portata» (2).
Nel 1976, assieme a Daniele Segre e Franco Berbero, gira nel quartiere torinese di Mirafiori "Perché Droga", il primo doc italiano tutto incentrato sul mondo della tossicodipendenza. Pochi mesi più tardi è la volta di "Alice e gli altri", racconto di quella sinistra extraparlamentare che di li a poco avrebbe dato vita al movimento del '77.
Nel 1976, assieme a Daniele Segre e Franco Berbero, gira nel quartiere torinese di Mirafiori "Perché Droga", il primo doc italiano tutto incentrato sul mondo della tossicodipendenza. Pochi mesi più tardi è la volta di "Alice e gli altri", racconto di quella sinistra extraparlamentare che di li a poco avrebbe dato vita al movimento del '77.
Seguono altri lavori, tutti dello stesso tenore: "Lotta nel Belice" (1977), "La macchina da presa senza Uomo" (1977) e "La follia della rivoluzione" (1977), testimonianza della contestazione al Convegno sulla psicanalisi del 1976 che gli vale un posto, seppur in una sezione marginale, al Festival di Berlino.
Nel 1978 arriva l' ultimo documentario, "La parte bassa", che divide in in tre movimenti(3): le immagini delle strade del '77 animate dai cortei di studenti; le interviste ai compagni dei circoli proletari (i prodromi dei centri sociali) della Statale di Milano; una terza parte di fiction in cui ricostruire la giornata tipo di un giovane militante. Si immortalava su pellicola la Milano prima di Craxi e dall'edonismo degli anni '80.
Questo attaccamento al reale si evolve, l'approccio documentaristico comincia ad andargli stretto.
Le ragioni? Da un lato la risacca politica, il fallimento dei movimenti, immortalato al festival del parco Lambro, e la conseguente fine della spinta dei sotto-circuiti; per proseguire la propria carriera deve necessariamente entrare nel mercato cinematografico. Dall'altro lato il desiderio di una nuova declinazione del reale: partire da un fatto, introiettarlo e costruire uno sguardo personale su di esso; e l'ultimo movimento de "La parte bassa" sta lì a dimostrarcelo.
Caligari fa da aiuto regista a Ferreri e Bellocchio.
Si propone anche a Pier Paolo Pasolini per quel capolavoro di "Salò o le 120 giornate di Sodoma"[LINK]. Ma non se ne fa niente, oramai il set è già stato chiuso e tutto è pronto per le riprese. Riceve solamente una promessa, il posto per "Porno-Teo-Kolossal". Il secondo capitolo della trilogia della morte non arriverà mai, poco dopo aver finito Salò, Pasolini verrà assassinato sul litorale romano dal ragazzo di vita Pino Pelosi.
Va fatto il grande salto.
Caligari si butta a capofitto nella scrittura di un film tutto suo e partorisce "Suicide Special", uno scontro tra bande immerso in una Roma notturna popolata da banditi, prostitute e travestiti. Alla fine non se ne fa nulla, la produzione non se la sente di dar fiducia al giovane regista; questa è roba per chi ha già un nome e tanta esperienza sulle spalle.
Poi gli balena in mente un'altra idea che si rivelerà vincente.
L'Italia e le sue periferie sono funestate dal boom dell' eroina, un problema che ha conosciuto da vicino. Immagina un film che parli alla gente in modo realistico della droga senza autocelebrazioni di sorta. E lo stimolo giusto arriva dall'incontro con il sociologo Guido Blumir, autore del best seller "Eroina", al quale propone di scrivere una sceneggiatura a quattro mani. Prende corpo "Street Heroin", titolo cambiato in corso d'opera in "Amore tossico" per evitare veti da parte della censura.
E' un lavoro difficilissimo.
Caligari, assieme ai suoi collaboratori, si addentra nel mondo dei tossici, vuole capire i meccanismi dall'interno.
Si reca ai SerT e frequenta i loro luoghi di ritrovo. Studia il gergo e la gestualità. Osserva il giro di malavita che ruota attorno ad essi. La sceneggiatura nasce così, attraverso la frequentazione del sottoproletariato post-pasoliniano, un mix di soggetti da cui farsi raccontare storie ed aneddoti, chiedere consigli e correzioni delle bozze; un lavoro certosino che porterà, compresa quella definitiva, alla stesura di 15 sceneggiature diverse.
In ultimo arriva la scelta dell'ambientazione, che quasi inevitabilmente cade sulla periferia romana; ed il cast, tutti attori non professionisti con un trascorso nel mondo dell'eroina.
Le difficoltà non finiscono nella fase di pre-produzione.
Durante le riprese alcuni attori vengono arrestati ed altri scompaiono, costringendo Caligari ad ingaggiare avvocati o a sostituire gli interpreti con dei sosia. Ed in mezzo a questo marasma salta anche una scena tratta da un fatto di cronaca(5).
Cesare, uno dei protagonisti del film, viene fermato dalle forze dell'ordine e condotto in una cella assieme ad altri eroinomani. Qui trova un giovane ragazzo in crisi di astinenza. I compagni di cella cercano di attirare l'attenzione dei secondini, ma niente, nessuno si reca da loro.
"Amore Tossico" viene presentato in una sezione marginale del Festival di Venezia e si aggiudica il Premio De Sica.
Al Lido, durante la conferenza stampa di presentazione, succede il finimondo.
Il critico Tati Sanguinetti si lamenta dell'audio in presa diretta e della qualità del film in generale. Si apre una diatriba con Marco Ferreri che difende la pellicola ed accusa il critico di non aver capito un cazzo, sto criticozzo ha appena assistito ad un capolavoro senza neanche rendersene conto.
Scoppia una violenta lite tra i due.
Nel contempo sbuca fuori Cavallo Pazzo, figlio dell'ala creativa del movimento del '77, che va gridando di volersi fare una pera, lì, davanti a tutti. Il film gli ha fatto venir voglia.
Attorno una serie di facce attonite.
Poco dopo arriva un processo in tv nella trasmissione Rai "Giudicatelo voi".
L'accusa è guidata da Alberto Farassinio, critico cinematografico de "La Repubblica", rimasto deluso dalla pellicola. Alla difesa, ancora una volta, il corpulento Marco Ferreri. Al banco degli imputati Caligari, il sociologo Blumir, i produttori ed il cast del film (7). Di "Amore Tossico" in quei giorni se ne parla tanto. E non solo qui da noi, la pellicola supera i confini nazionali e trova una critica attenta che non lesina negli apprezzamenti. Il regista di Arona ha fatto centro.
La storia del film è delle più semplici.
In una Roma periferica bruciata dal sole, assistiamo alla quotidianità di un gruppo di tossici cadenzata dalla spasmodica ricerca del flash e da timidi tentativi di riprendersi la vita.
Nel 1978 arriva l' ultimo documentario, "La parte bassa", che divide in in tre movimenti(3): le immagini delle strade del '77 animate dai cortei di studenti; le interviste ai compagni dei circoli proletari (i prodromi dei centri sociali) della Statale di Milano; una terza parte di fiction in cui ricostruire la giornata tipo di un giovane militante. Si immortalava su pellicola la Milano prima di Craxi e dall'edonismo degli anni '80.
Questo attaccamento al reale si evolve, l'approccio documentaristico comincia ad andargli stretto.
Le ragioni? Da un lato la risacca politica, il fallimento dei movimenti, immortalato al festival del parco Lambro, e la conseguente fine della spinta dei sotto-circuiti; per proseguire la propria carriera deve necessariamente entrare nel mercato cinematografico. Dall'altro lato il desiderio di una nuova declinazione del reale: partire da un fatto, introiettarlo e costruire uno sguardo personale su di esso; e l'ultimo movimento de "La parte bassa" sta lì a dimostrarcelo.
Caligari fa da aiuto regista a Ferreri e Bellocchio.
Si propone anche a Pier Paolo Pasolini per quel capolavoro di "Salò o le 120 giornate di Sodoma"[LINK]. Ma non se ne fa niente, oramai il set è già stato chiuso e tutto è pronto per le riprese. Riceve solamente una promessa, il posto per "Porno-Teo-Kolossal". Il secondo capitolo della trilogia della morte non arriverà mai, poco dopo aver finito Salò, Pasolini verrà assassinato sul litorale romano dal ragazzo di vita Pino Pelosi.
***
"Amore tossico" (1983):
«Il film lo ambientammo nelle borgate romane per due motivi. Uno strettamente cinematografico. Quegli ambienti, quei posti, e i personaggi che li popolavano, erano già entrati nella storia del cinema con i primi film di Pasolini. Ora noi li filmavamo nuovamente, ma dopo che erano stati investiti dalla droga pesante. Il secondo motivo risiedeva nel fatto che nelle borgate romane, come in ogni altra periferia l’eroina, al di là del consumo della sostanza, entrava subito nel circuito economico con gli effetti devastanti che cercammo di mostrare» (4).
La genesi:
Caligari si butta a capofitto nella scrittura di un film tutto suo e partorisce "Suicide Special", uno scontro tra bande immerso in una Roma notturna popolata da banditi, prostitute e travestiti. Alla fine non se ne fa nulla, la produzione non se la sente di dar fiducia al giovane regista; questa è roba per chi ha già un nome e tanta esperienza sulle spalle.
Poi gli balena in mente un'altra idea che si rivelerà vincente.
L'Italia e le sue periferie sono funestate dal boom dell' eroina, un problema che ha conosciuto da vicino. Immagina un film che parli alla gente in modo realistico della droga senza autocelebrazioni di sorta. E lo stimolo giusto arriva dall'incontro con il sociologo Guido Blumir, autore del best seller "Eroina", al quale propone di scrivere una sceneggiatura a quattro mani. Prende corpo "Street Heroin", titolo cambiato in corso d'opera in "Amore tossico" per evitare veti da parte della censura.
E' un lavoro difficilissimo.
Caligari, assieme ai suoi collaboratori, si addentra nel mondo dei tossici, vuole capire i meccanismi dall'interno.
Si reca ai SerT e frequenta i loro luoghi di ritrovo. Studia il gergo e la gestualità. Osserva il giro di malavita che ruota attorno ad essi. La sceneggiatura nasce così, attraverso la frequentazione del sottoproletariato post-pasoliniano, un mix di soggetti da cui farsi raccontare storie ed aneddoti, chiedere consigli e correzioni delle bozze; un lavoro certosino che porterà, compresa quella definitiva, alla stesura di 15 sceneggiature diverse.
In ultimo arriva la scelta dell'ambientazione, che quasi inevitabilmente cade sulla periferia romana; ed il cast, tutti attori non professionisti con un trascorso nel mondo dell'eroina.
La scena tagliata:
Durante le riprese alcuni attori vengono arrestati ed altri scompaiono, costringendo Caligari ad ingaggiare avvocati o a sostituire gli interpreti con dei sosia. Ed in mezzo a questo marasma salta anche una scena tratta da un fatto di cronaca(5).
Cesare, uno dei protagonisti del film, viene fermato dalle forze dell'ordine e condotto in una cella assieme ad altri eroinomani. Qui trova un giovane ragazzo in crisi di astinenza. I compagni di cella cercano di attirare l'attenzione dei secondini, ma niente, nessuno si reca da loro.
La mattina seguente il giovane viene trovato impiccato e scatta la protesta. Arrivano dei secondini con il volto coperto da un fazzoletto bianco, prelevano alcuni dei presenti, tra cui Cesare, e li portano in una cella liscia (6) dove subiscono un pesante pestaggio.
La scena non viene mai girata. Il carcere minorile visionato e scelto dal regista, nonostante l'iniziale ok della direzione, posticipa ripetutamente le date delle riprese; Caligari e la produzione non possono procrastinare ulteriormente i lavori, il budget è ridotto all'osso e si vedono costretti a tagliare definitivamente la scena. Con essa finiscono al macero le scene collegate già girate: l'arrivo di Cesare al carcere di Regina Coeli; lo spaccio di eroina dentro l'istituto circondariale; il montaggio parallelo degli amici rimasti in libertà.
Il film:
Al Lido, durante la conferenza stampa di presentazione, succede il finimondo.
Il critico Tati Sanguinetti si lamenta dell'audio in presa diretta e della qualità del film in generale. Si apre una diatriba con Marco Ferreri che difende la pellicola ed accusa il critico di non aver capito un cazzo, sto criticozzo ha appena assistito ad un capolavoro senza neanche rendersene conto.
Scoppia una violenta lite tra i due.
Nel contempo sbuca fuori Cavallo Pazzo, figlio dell'ala creativa del movimento del '77, che va gridando di volersi fare una pera, lì, davanti a tutti. Il film gli ha fatto venir voglia.
Attorno una serie di facce attonite.
Poco dopo arriva un processo in tv nella trasmissione Rai "Giudicatelo voi".
L'accusa è guidata da Alberto Farassinio, critico cinematografico de "La Repubblica", rimasto deluso dalla pellicola. Alla difesa, ancora una volta, il corpulento Marco Ferreri. Al banco degli imputati Caligari, il sociologo Blumir, i produttori ed il cast del film (7). Di "Amore Tossico" in quei giorni se ne parla tanto. E non solo qui da noi, la pellicola supera i confini nazionali e trova una critica attenta che non lesina negli apprezzamenti. Il regista di Arona ha fatto centro.
La storia del film è delle più semplici.
In una Roma periferica bruciata dal sole, assistiamo alla quotidianità di un gruppo di tossici cadenzata dalla spasmodica ricerca del flash e da timidi tentativi di riprendersi la vita.
Tutto ha inizio al Pontile di Ostia. Qui troviamo Enzo e Ciopper impegnati nella conta dei soldi necessari pe' svortà. La telecamera si sposta di qualche metro ed appare Loredana, intenta nel prepararsi una siringa su un muretto in mezzo alla gente. Arriva Cesare, che rimbrotta Enzo e Ciopper, colpevoli di essersi dati a spese superflue (du' gelatini) quando sono già a corto di soldi con l' astinenza che bussa alla porta.
Assistiamo ad una sequela di battute in bilico tra il grottesco ed il comico, scandite attraverso un curioso modo di parlare strascicato in cui si mescola dialetto romano, il gergo della malavita e quello del tossicodipendente. Battute comiche, gesti sconclusionati e quel ticchettio degli zoccoli indossati dai protagonisti che diventano un preavviso sonoro del loro arrivo in scena.
Assistiamo ad una sequela di battute in bilico tra il grottesco ed il comico, scandite attraverso un curioso modo di parlare strascicato in cui si mescola dialetto romano, il gergo della malavita e quello del tossicodipendente. Battute comiche, gesti sconclusionati e quel ticchettio degli zoccoli indossati dai protagonisti che diventano un preavviso sonoro del loro arrivo in scena.
Ed il lato grottesco per certi versi aiuta. Un po' come accade sullo schermo per Cesare e co. che provano a sopravvivere al loro quotidiano, qui si trova un appiglio per digerire quel senso di tragico e morte che si respira dinnanzi ai volti scavati ed ai denti mangiati. E Caligari, con una regia documentaristica ed asciutta, non ci risparmia nulla.
Ci sono tanti schizzi, le preparazioni delle dosi nei minimi dettagli, aghi che spertusano vene in favore di telecamera . Scene così realistiche che al tempo crearono non pochi dubbi interpretativi. Ed attorno ai tossici entra in scena un mondo schifoso.
Ci sono tanti schizzi, le preparazioni delle dosi nei minimi dettagli, aghi che spertusano vene in favore di telecamera . Scene così realistiche che al tempo crearono non pochi dubbi interpretativi. Ed attorno ai tossici entra in scena un mondo schifoso.
Il pappone che dà dosi di eroina a giovani ragazze per farle prostituire con la Roma bene; la nonnetta che abita alle baracche di Ostia e che svolta la giornata spacciando.
Si assiste a sequenze tanto dure quanto rare nel nostro cinema più recente. Penso all'intenso monologo di Cesare che racconta una notte di droga terminata in un quasi suicidio; la scena del quadro in cui vediamo la poetessa avanguardista Patrizia Vicinelli interpretare una pittrice amica di Cesare.
E' vero, una volta giunti ai titoli di coda ci si capacita di un finale brusco e pietoso, evidente frutto di un budget ridotto all'osso che non poteva permettere ulteriori giornate di lavoro; altri ancora si potranno lamentare della recitazione strascicata degli attori e dell'audio non perfetto.
Ma "Amore Tossico" è anche questo, un film limpido e crudo che, per mezzo della narrazione e di una cifra stilistica spietata (pensiamo a quegli aghi che bucano la pelle in favore di telecamera), prende per la gola lo spettatore costringendolo ad una presa di coscienza indesiderata; lo spiazza, lo cala in una visione straniante a cui non è abituato, una Roma sporca e decadente che il cinema (e la cultura italiana) aveva abbandonato in fretta e furia, in favore di narrazioni borghesi e rincuoranti. E la grandezza di "Amore Tossico" è qui, nella capacità (e nel coraggio) di percorrere la strada dell'interazione e della scoperta dell'altro [Continua...].
Si assiste a sequenze tanto dure quanto rare nel nostro cinema più recente. Penso all'intenso monologo di Cesare che racconta una notte di droga terminata in un quasi suicidio; la scena del quadro in cui vediamo la poetessa avanguardista Patrizia Vicinelli interpretare una pittrice amica di Cesare.
E' vero, una volta giunti ai titoli di coda ci si capacita di un finale brusco e pietoso, evidente frutto di un budget ridotto all'osso che non poteva permettere ulteriori giornate di lavoro; altri ancora si potranno lamentare della recitazione strascicata degli attori e dell'audio non perfetto.
Ma "Amore Tossico" è anche questo, un film limpido e crudo che, per mezzo della narrazione e di una cifra stilistica spietata (pensiamo a quegli aghi che bucano la pelle in favore di telecamera), prende per la gola lo spettatore costringendolo ad una presa di coscienza indesiderata; lo spiazza, lo cala in una visione straniante a cui non è abituato, una Roma sporca e decadente che il cinema (e la cultura italiana) aveva abbandonato in fretta e furia, in favore di narrazioni borghesi e rincuoranti. E la grandezza di "Amore Tossico" è qui, nella capacità (e nel coraggio) di percorrere la strada dell'interazione e della scoperta dell'altro [Continua...].
Ismail
Note:
(1) Cit. Claudio Caligari, in Alessio Bacchetta, "Cladio Caligari: Intervista ad un regista cult", Link Articolo
(2) Ibidem
(1) Cit. Claudio Caligari, in Alessio Bacchetta, "Cladio Caligari: Intervista ad un regista cult", Link Articolo
(2) Ibidem
(3) Ibidem
(4) Ibidem
(5) Cfr. "Amore Tossico, intervista al regista Claudio Caligari", Link Video
(6) Le celle lisce (o celle zero) sono quelle completamente vuote e senza finestra. Sull'argomento cfr. Chiara Rizzo, "Benvenuti nella cella liscia. Ecco dove vengono torturati i detenuti nelle carceri italiane", Link Articolo
(7) Link Video (il filmato inizia a 15:20)
(4) Ibidem
(5) Cfr. "Amore Tossico, intervista al regista Claudio Caligari", Link Video
(6) Le celle lisce (o celle zero) sono quelle completamente vuote e senza finestra. Sull'argomento cfr. Chiara Rizzo, "Benvenuti nella cella liscia. Ecco dove vengono torturati i detenuti nelle carceri italiane", Link Articolo
(7) Link Video (il filmato inizia a 15:20)
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