mercoledì 17 maggio 2017

ALFONSIN(A) STRADA: IL CICLISMO AL FEMMINILE


E' il 13 maggio del 1909, sono le ore 2:53 del mattino ed a Piazzale Loreto a Milano si apre la storia del Giro d'Italia. La prima tappa di sempre, un percorso di 397 km fatto di strade polverose, più di 14 ore in sella ed una media oraria di 28 km/h.
Insomma se l'aggettivo eroico è così usato in riferimento al ciclismo di quell'epoca ci sarà pure un perché no?
A tagliare per primo il traguardo posto a Bologna è un romano, Dario Beni, membro della mitica Bianchi. Il primo a vedere inciso il proprio nome sull'albo d'oro del giro è invece il lombardo Ganna.
Passano gli anni, 15 per l'esattezza, e si giunge al Giro del 1924: 12 tappe e 3613km da percorrere.
Ci sono tanti problemi per gli organizzatori di quel Giro. Le squadre più blasonate richiedono premi in denaro per partecipare alla corsa rosa, ma il direttore de "La Gazzetta dello Sport", Emilio Colombo, e l'amministratore Armando Cougnet si rifiutano e salta l' accordo.
Un caos, grandi campioni come Bottecchia e Girardengo non partecipano, altri corridori sono costretti ad iscriversi individualmente. Si rischia un flop clamoroso.
Poi l'illuminazione. Ci sta un ciclista che potrebbe far sorgere una grande attenzione sulla corsa, un corridore che aveva iniziato a pedalare a 10 anni con un mezzo rottame regalatogli dal padre e che da allora non si era più fermato. Una passione grande al punto che già prima di compiere i 14 anni, all'oscuro dei genitori che lo credono a messa, inizia a partecipare alle prime gare. C'è di più, il ciclista misterioso si sposa e si fa donare dal coniuge una bici tutta nuova, non c'è regalo più bello.
Negli anni di cose importanti poi ne aveva fatte poi: due partecipazioni al Giro di Lombardia, una gara in Russia dove aveva ricevuto una medaglia al valore dallo Zar Nicola II e sopratutto aveva siglato il nuovo record dell'ora (37,192 km/h), battendo quello precedente che resisteva da ben 9 anni.
Viene inserito dalla direzione tra i partenti ma il suo nome, sino a pochi giorni dal via, non compare in nessuna lista ufficiale. Il nome misterioso, 3 giorni prima della partenza, appare sui giornali: un certo Alfonsin Strada scrive "La Gazzetta", "Il Resto del Carlino" aggiunge una vocale e lo chiama Alfonsino.
Dei refusi forse, molto più probabilmente una remora di giornalisti e direttori, sta di fatto che il ciclista misterioso ingaggiato da Colombo è una lei, Alfonsina Morini coniugata Strada, la prima donna a buttarsi all'interno del virile e muscoloso mondo delle corse ciclistiche, l'unica ad aver disputato la corsa a tappe più dura e bella al mondo.
Fa scandalo, alcuni vedono la sua presenza come una pagliacciata. Altri invece manifestano approvazione e rispetto per il grande coraggio mostrato dalla giovane donna. Possiamo immaginare le difficoltà affrontate da Alfonsina, siamo nel 1924, in alcune parti d'Italia per una donna andare anche con una bici da passeggio crea disapprovazione, in più il fascismo bussa prepotentemente alle porte dell' Italia.
Fatto sta che la Nostra sta lì nel gruppo, lotta e riesce ad essere anche competitiva.
Il ciclismo è uno sport pieno di insidie, lo si sa. Lo è oggi, figuriamoci in quegli anni. Si correva su strade non asfaltate, su mezzi meccanici che oggi possiamo definire preistorici, non esisteva il cambio (per cambiare il rapporto i ciclisti dovevano cambiare la ruota), giravano con i tubolari al collo e ci sono immagini di repertorio in cui si vedono i corridori gonfiare a bocca i pneumatici. 
La Nostra stringe i denti e ce la fa, sta in mezzo al gruppo e combatte, arriva sempre entro il tempo massimo e solo 2 volte è l'ultima a arrivare (nonostante che, di tanto in tanto, si prenda delle soste per firmare autografi ai tanti spettatori assiepati lungo la strada).
E' il 24 maggio, siamo all' 8° tappa di quel giro, un percorso insidioso di 296 km che da L'Aquila giunge sino a Perugia. Alfonsina cade e si rompe il manubrio della bici.
Tutto sembra irrimediabilmente finito. Il sogno di terminare il Giro d'Italia può sfumare per sempre.
Leggenda vuole che lì dove la Strada è caduta ci sia una contadina. Questa le dà un manico di scopa di legno e voilà, viene montato sul telaio divenendo il nuovo manubrio con cui portare a termine la tappa. La Nostra arriva a Perugia ma nonostante la tenacia giunge con un ritardo clamoroso e supera il tempo massimo consentito dalla direzione della corsa.
Quella non fu una giornata fortunata per Alfonsina che oltre la caduta dovette affrontare numerose forature. La direzione della corsa (tra i quali anche lo stesso Colombo che la volle) sembra capire la situazione ed in un primo momento decide di tenerla in gara, poi però il clima dell'epoca probabilmente ha la meglio e si opta per un compromesso: Alfonsina può proseguire la corsa ma senza essere conteggiata nella classifica.
Dei novanta partiti, al traguardo finale di Milano, giunsero solo una trentina di corridori, tra cui Alfonsina Strada accolta dagli applausi del pubblico.
Con quel giro guadagnò circa 50000 lire che girò al manicomio dove era ricoverato il marito, colui che le regalò una bicicletta tutta nuova e le diede quel cognome, Strada, che tanto si addiceva alla passione ciclistica della donna. 
Alfonsina dopo quell'esperienza non riuscì più a partecipare al Giro, il maschilismo fascista le precluse ogni porta e si poté limitare a seguirlo ufficiosamente prima in bici e poi con una Moto Guzzi rossa comprata con i ricavi della vendita di alcuni dei trofei vinti. Nella sua carriera era comunque riuscita a togliersi tante soddisfazione, la vittoria in 36 corse contro i colleghi uomini e sopratutto la stima e l'amicizia di campioni come Girardengo, Magni e Bartali.

Ismail

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