« Madre: ventinove anni dopo, queste pagine d'addio in lettere di sangue»
Il noir Hard-boiled contemporaneo ha solo un nome: James Ellroy.
Fra i tanti motivi spicca sicuramente uno in particolare, il fatto cioè, che la vita di Ellroy sia stata un romanzo noir. Cresciuto orfano di padre, in giovane età si vede portare via la madre, brutalmente assassinata da uno dei suoi tanti, troppo, corteggiatori. In tale contesto di sofferenza e abbandono è facile per un bambino prendere cattive strade. Il ghetto di Los Angeles fa il resto.
Fra diserzioni, atti vandalici, rapine, carcere, alcool e droga, Ellroy, tempra la sua personalità dura e sregolata, nutrita da una perenne insofferenza di fondo.
C'è però un particolare insolito per un ragazzo di strada, che, col senno di poi, salverà James risultando determinante nella sua formazione da scrittore: fin da piccolo amava leggere libri gialli polizieschi. «Sono molto bravo a trasformare la merda in oro» . Questa dichiarazione di Ellroy stesso è perfetta per sintetizzare la nascita di un grande romanziere noir.
E "La Dalia Nera" rappresenta senz'altro il punto più alto raggiunto da Ellroy nella sua letteratura. In esso ritroviamo molti particolari della sua vita, a partire dalla forma dei dialoghi, degni del miglior turpiloquio da strada.
Nel romanzo le vicende di cronaca nera americana, il caso irrisolto dell'assassinio di Elizabeth Short, trovata orrendamente sfigurata, si sovrappongono a quelle personali dello scrittore (l'omicidio della madre/Dalia); si fondono e dando vita ad una storia torbida ed appassionante.
Sullo sfondo l'America del dopoguerra, del progresso, del sogno americano, davanti l'intrecciarsi delle vite di tre personaggi: due ex pugili ora poliziotti nella squadra Omicidi, Bleichert e Blanchard, e la donna di questi, Kay. Spetterà a loro dare un volto all'assassino della Dalia Nera, che per il suo omicidio è sembrato ispirarsi a "L’uomo che ride" di Hugo.
Un assassinio efferato che sconvolgerà la vita dei due amici, ossessionandoli e tirando fuori da essi il loro lato più oscuro. E col caso Short verrà a galla lo sporco sotto il tappeto che si insinua nei salotti più potenti e altolocati, coinvolgendo i pezzi grossi dello spettacolo, dell’industria cinematografica e dell’imprenditoria cittadina.
Aldilà della sapiente costruzione narrativa degli eventi che risulta avvincente ed ossessiva, è notevole anche la caratterizzazione dei personaggi, complessi, mai banali o stereotipati. Alla fine risulta davvero difficile eleggere un personaggio buono, puro e disincarnato dalla realtà che lo circonda.
Tutti hanno qualcosa da nascondere, tutti mentono e accettano di sporcarsi il volto di fango e sangue. Il ritratto più emblematico di questa condizione d'animo è senz'altro quello di Betty Short, modellato più sulla figura della madre di Ellroy che sul suo corrispondente reale. Motivo per cui risulta essere il carattere più notevole e riuscito, attorno a cui, di conseguenza, gravitano gli altri personaggi, attratti dalla forza dell'ossessione e del mistero legati ad esso.
La cornice risulta altrettanto riuscita, Ellroy ci porta in una realtà di cui sentiamo la puzza ed il marciume, ben lontana dalle immagini patinate a cui siamo abituati.
Dal libro è stato trotto un film, diretto da Brian De Palma, con Josh Hartnett nella parte di Bucky, Aaron Heckhart in quella di Blanchard, Scarlett Johansonn in quella di Kay Lake e, sopratutto, Mia Kirshner in quella di Betty Short.
Dal punto di vista registico il film è tanta roba, ma d'altronde, con De Palma non si scherza.
Riesce nell'impresa di rappresentare nelle due ore scarse di pellicola, quasi tutti i collegamenti presenti nel libro, anche se risulterà difficile per lo spettatore coglierli alla prima confusa visione del film.
Da un punto di vista tecnico si segnala per un piano sequenza che segue le due vicende principali del film dall'alto e per la scena da calma prima della tempesta già vista ne "Gli Intoccabili".
Il cast ha il cosiddetto phisique du role per interpretare i personaggi del libro e le parti sembrano fatte su misura per loro (non a caso Ellroy ha avvallato in pieno la loro scelta).
Spiccano i due protagonisti, non sfigura neanche la Johansonn.
Nota a parte per Mia Kirshner: in stato di grazia, regala una interpretazione intensa e credibile di una Betty Short agghiacciante, una fragile e indifesa creatura, gettata in pasto agli squali della Los Angeles dei magnati, a causa della sua insofferenza e ambizione smodata.
Una Dalia dall'animo oscuro e puro allo stesso tempo.
Degnissima trasposizione.
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